Vent’anni dalle Intese – Giorgio Sacerdoti, una lezione sempre valida

Sono passati 20 anni da quando il parlamento approvava con legge n. 101 del 1989 l’intesa firmata due anni prima, il 27 febbraio 1987, tra Tullia Zevi presidente dell’Unione delle Comunità e Bettino Craxi presidente del Consiglio. Si archiviava cosi’ definitivamente il regio decreto del 1930 sotto il cui regime le comunità “israelitiche” avevano funzionato durante il fascismo, sotto le leggi razziali e infine per quasi tutta quella che sarebbe passata alla storia come la “prima Repubblica”. Un tempo che appare lontano dopo i rivolgimenti che hanno portato alla attuale seconda Repubblica. Con essa l’ulteriore emancipazione dei costumi, la ”politica televisiva” al posto dei partiti di massa, la fine dell’unità politica dei cattolici ed infine il fenomeno dell’immigrazione extraeuropea, con l’inedito formarsi di una consistente popolazione islamica nel nostro paese.
Per il piccolo ebraismo italiano, che alla fine di quello stesso 1987 aveva approvato anche il suo primo statuto interno all’insegna della nuova piena autonomia garantita dall’intesa, si trattava di affrontare una situazione inedita, tra rischi di disintegrazione e opportunità di rilancio.
Pochi avrebbero scommesso su quello che si è poi verificato. Si è avviato un periodo di inattesa fioritura culturale, di ripresa dell’osservanza religiosa; finiva il tradizionale ripiegamento su se stesso della vita comunitaria. All’esterno, di ampi settori della società italiana una vera e propria sete di conoscere le nostre radici; l’interesse agli apporti dell’ebraismo; la disponibilità, finalmente, a comprendere le ragioni di Israele. Anche l’apertura della Chiesa verso i fratelli maggiori ebrei ebbe il suo peso, con la visita del papa polacco alla sinagoga di Roma, nel 1986. Da piccola realtà ignorata, se non considerata in via di estinzione, alla sovraesposizione mediatica, con le comunità e i loro esponenti spesso corteggiati non solo per iniziative culturali ma anche sul piano politico. Gli ebrei diventati “di moda”: un fenomeno che puo’ piacere a chi ricorda i tempi in cui anche le piu’ pressanti esigenze delle Comunità non trovavano ascolto,ma di fronte al quale l’esperienza suggerisce cautela per evitare strumentalizzazioni
. Una attenzione senza corrispondenza con i numeri della nostra presenza o e il peso elettorale. Dal “Giorno della Memoria” della Shoà, stabilita per legge, alla Giornata della Cultura ebraica che attira folle nelle sinagoghe di comunità estinte – ma che a volta rinascono, come a Trani – e nei festival di letteratura ebraica.

Dopo vent’anni è tempo di bilanci. La domanda è: in che misura questa vera e propria esplosione culturale religiosa e sociale è correlata alla svolta legislativa del 1987-89? Prima, il vecchio regime ispirato alla disuguaglianza dei culti, con vincoli all’attività comunitaria e controlli da parte delle autorità pubbliche, ma che dava anche le sicurezze conseguenti, per esempio quella finanziaria con l’iscrizione di diritto e l’obbligatorietà dei contributi alle comunità.
Dopo, l’intesa a livello costituzionale che garantisce piena uguaglianza e libertà per l’ ebraismo e le sue attività religiose ma che impone alle comunità di attivarsi per riscuotere il consenso degli iscritti, offrire servizi di qualità, competere tra l’ amplissima scelta di opzioni di ogni tipo offerta dalla società civile. La sfida per l’ebraismo italiano è stata quella di mantenere la sua identità culturale religiosa, la sua coesione sociale e una organizzazione unitaria e rappresentativa pur nel pluralismo interno che lo caratterizza. Difficile unità nella diversità in un contesto dove la partecipazione individuale è libera, cosi’ come in piena libertà anche verso l’ebraismo “ufficiale” possono operare gruppi che si richiamano ai vari indirizzi dell’ ebraismo.

L’intesa non nacque dal nulla. Fu definita “stagione dell’intesa” quella che si apri’ in parallelo alla revisione del concordato del 1929. Quest’ultima si era protratta con negoziati annosi e inconcludenti, nonostante il tramonto del cattolicesimo quale religione di stato nel costume del paese (come comprovato dal referendum che confermo’ l’introduzione del divorzio). Il processo fu rilanciato e portato a termine dai primi governi a guida laica, prima Spadolini poi Craxi, con gli accordi di Villa Madama del 1984. A ruota l’intesa con i valdesi, poi con le comunità ebraiche ed altre fedi protestanti e i buddisti. Dopo anni di vana anticamera veniva finalmente attuato l’art. 8 della Costituzione che le prevedeva. Nella forma dei mini concordati, ma senza privilegi; nella sostanza delle garanzie di libertà per i culti numericamente minoritari in un quadro di laicità dello stato, di non ingerenza nei loro affari interni, di pluralismo religioso nel nostro paese. Non piu’ minoranze religiose ai margini, ma cittadini con pari dignità e diritti. La successiva accettazione da parte loro del meccanismo di finanziamento dell’ otto per mille, inizialmente introdotto per la Chiesa, avrebbe loro consentito di operare con maggiore tranquillità economica. Per l’ebraismo, che vi aderi’ nel 1996, questo meccanismo ha avuto anche un inatteso impatto organizzativo, rafforzando l’Unione nel suo ruolo guida delle Comunità a livello nazionale.
Importanti le innovazioni dell’intesa ebraica, risultato di tre anni di serrati negoziati tra la commissione dell’Unione (Guido Fubini, Vittorio Ottolenghi, Giorgio Sacerdoti e Dario Tedeschi) e quella governativa del prof. Margiotta Broglio sotto l’egida di Giuliano Amato, allora sottosegretario a Palazzo Chigi. Negoziati indirettamente sbloccati da una sentenza della Corte costituzionale del 1984, che aveva fatto cadere l’appartenenza automatica alle Comunità in conformità al “supremo principio costituzionale” della laicità dello Stato. Trattative a loro volta democraticamente condizionate dall’intenso dibattito interno all’ebraismo italiano di quegli anni sulla scelta dei modelli di organizzazione comunitaria da preferire per lo statuto interno e sul tipo di “richieste” da presentare alla controparte.

L’intesa ha portato anzitutto ad un pieno riconoscimento della libertà individuale degli ebrei di praticare la propria religione. Particolarmente importante al riguardo il diritto di rispettare il sabato e le feste ebraiche nel mondo del lavoro e delle attività collettive, il che pone l’Italia all’avanguardia persino rispetto alla Francia. Si ricollegano alla piena uguaglianza religiosa l’abolizione della diversità di tutela penale delle religioni, l’ impegno contro l’antisemitismo e la tutela dei beni culturali ebraici. Importante quanto ottenuto sulla scuola pubblica e sul punto dolente dell’ora di religione, che metteva gli studenti ebrei in condizione di discriminazione. L’intesa ha sancito il rispetto della libertà di coscienza e religione e della pari dignità di tutti gli alunni ( non solo a pro’ degli ebrei!), il diritto per tutti di non avvalersi di insegnamenti religiosi, il divieto di qualsiasi insegnamento religioso diffuso. Principi preziosi ogni volta che qualche maggioranza e governo dimentichino che il nostro è uno stato laico.
Fondamentale per i successivi sviluppi è la presa d’atto nell’intesa che l’ebraismo non è solo religione, ma che le comunità sono “formazioni sociali originarie”. Viene riconosciuto che esse non si limitano a provvedere alle esigenze religiose degli ebrei ( non solo dei loro iscritti) secondo la definizione, tradizionalmente ampia, che ne dà lo statuto, ma anche a quelle culturali, sociali e assistenziali.
E’ questo riconoscimento nell’intesa che, insieme alla piena uguaglianza libertà individuale e autonomia statutaria, ha consentito alle comunità e ai singoli di valorizzare le nostre radici ed il nostro apporto alla società italiana e di ottenere un rispetto ed un ascolto che non si misura in numeri ma sul piano qualitativo.
La piu’ recente evoluzione ( o involuzione) della società e della politica italiana è in materia per vari aspetti inquietante. Davanti alle chiusure verso i diversi, al razzismo verso gli stranieri, al rifiuto del multiculturalismo, al ritorno di influenze improprie del cattolicesimo ufficiale su scelte che sono anzitutto di coscienza individuale, la lezione e le conquiste dell’intesa di venti anni fa non vanno dimenticate. Ci ricordano tuttora chi siamo e le nostre responsabilità nell’ Italia di oggi.

Giorgio Sacerdoti, giurista e presidente del Cdec