La saggezza del limite
La nostra epoca è senza dubbio segnata dall’insofferenza verso il limite. Certo nel mondo globalizzato siamo oramai abituati al precipitoso abbattimento dei confini spaziali, prima ancora che temporali. Un limite salta dopo l’altro. La parte più lontana del mondo è già quasi qui, e noi quasi lì, fosse pure attraverso uno schermo. Il sogno dell’onnipresenza, dell’onniscienza, dell’onnipotenza sembra a un passo. Perché dubitarne? Semmai riserve vengono avanzate verso quei limiti che restano ancora e che, proprio per questo, appaiono insopportabili. Non è un caso che si parli così tanto dei limiti ultimi, della nascita e della morte. Ma la sfida dell’illimitato è pericolosa. Perché è un’illusione. E l’illusione aggrava la sofferenza che il limite inevitabilmente comporta. Mai come ora i limiti, che vorremmo cancellare, riemergono in forma più accentuata. Come ha sottolineato Jacques Derrida è la tecnica stessa – minaccia e chance insieme – che spingendoci da un limite all’altro fa affiorare la nostra finitezza. E finitezza vuol dire scoprire non tanto di avere limiti, ma di essere un limite. Qui sta la disillusione più grande.
Prima di giungere a questa disillusione, si può invece imparare a vedere tutta la positività del limite. Perché il limite è sempre il confine dell’altro. E dunque è anche sempre un’apertura. È questa saggezza del limite che la Torah insegna.
Donatella Di Cesare, filosofa