Qui Torino – Il fascino delle sinagoghe piemontesi

“Parole, immagini, oggetti e architetture delle sinagoghe piemontesi” è il titolo del volume curato dagli architetti Franco Lattes e Paola Valentini edito da Allemandi che sarà presentato questa sera alla Comunità Ebraica di Torino. Un viaggio lungo la storia delle comunità ebraiche piemontesi, la testimonianza concreta di una realtà presente sul territorio da secoli ma anche un’occasione di riflettere sul ruolo dell’architettura nell’ebraismo. “Il libro è, con alcuni ampliamenti, il catalogo della mostra permanente ospitata nella sinagoga di Carmagnola” ci spiega il professor Lattes, docente di progettazione architettonica presso il Politecnico di Torino “l’idea è di regalare al pubblico un ricordo tangibile della visita”. Ma non solo, mostra e libro documentano “lo sforzo compiuto negli anni, e che ancora continua, per restaurare gli edifici e conservare le tracce della presenza ebraica in Piemonte”. Dodici sinagoghe sparse in tutta la regione, per ciascuna viene raccontata la storia, per ciascuna troviamo le immagini della Tevà o dell’Aron Ha Qòdesh.
La storia di questi edifici, di questi luoghi intreccia quella delle varie Comunità ebraiche e il loro rapporto con il mondo esterno “sono possibili molteplici riflessioni a partire dall’architettura” sostiene il professor Lattes “possiamo chiederci se vi sia un messaggio, un’influenza ebraica dentro l’architettura. Nella realizzazione delle sinagoghe non c’è una codificazione canonica ma tale costruzione è comunque cucita attorno ad un rito, alla liturgia” e aggiunge “altro spunto interessante è comprendere l’influenza di coloro che ebrei non sono nella creazione delle sinagoghe. E’ noto che spesso gli stessi architetti progettavano tanto chiese quanto sinagoghe”.
Nel volume, peraltro, viene sottolineato come le operazione di restauro documentate, non sono volte alla mera contemplazione del manufatto che, si legge, “potrebbe addirittura configurare una forma di idolatria e il rifiuto dell’idolatria è uno dei caratteri costitutivi dell’ebraismo”. Perché dunque conservare oggetti ed edifici di una storia passata? Alcune delle ragioni, secondo Lattes e Valentini, sono i legami affettivi, la testimonianza, la memoria di luoghi e spazi che hanno segnato, nel bene e nel male, la storia degli ebrei piemontesi.
Lo sguardo però non è rivolto solo al passato, un’orma non è molto se non si conosce chi la lasciata. Per questo, per dimostrare la vitalità della presenza ebraica, nel libro troviamo anche immagini allegre e commoventi di un matrimonio, celebrato nel 2007 a Casale Monferrato e immortalato dalla fotografa Monika Bulaj.
“Il luogo, lo spazio” ha sottolineato Franco Lattes “è un elemento di appartenenza dal quale però, nella visione ebraica, vi è comunque un distacco parziale”. Non vi è quell’attaccamento incondizionato e acritico ad un solo epicentro spaziale, che spesso esclude tutto ciò che sta al di fuori dei suoi confini. “Guardare lo specchio per vedere solo sé stessi” sostiene il professore “non ha alcun senso. Mentre avere la consapevolezza di ciò che siamo, ci aiuta a rapportarci con gli altri, ad aprire un dialogo.”
Conoscere la ricchezza del patrimonio ebraico, evitando contemplazioni fine a sé stesse, può aiutare nella riscoperta delle proprie tradizioni ma anche “ad aprire un dialogo” con gli altri.

Daniel Reichel