Qui Milano – Noi e gli altri, rimproverare ma non giudicare
Una delle 613 mitzvot comandate al popolo d’Israele ordina agli ebrei di rimproverare francamente il prossimo quando sbaglia.
Una mitzvah difficile, tremendamente difficile da adempiere nel modo giusto, senza trasformare l’ammonimento in un giudizio inopportuno, tanto che anche Rabbì Akiva aveva, secondo la tradizione, dei problemi nell’eseguirla.
Con questo profondo dilemma il rabbino capo di Milano Alfonso Arbib ha introdotto il tema poi sviluppato dalla conferenza del suo collega romano rav Riccardo Di Segni, ospite d’eccezione al centro Noam.
“Il punto fondamentale del rapporto con gli altri nell’ebraismo è l’ahavat Israel, l’amore per il prossimo – continua rav Arbib – ma non bisogna interpretare questo concetto nel modo sbagliato. Anche far notare un errore è un grande atto di amore, basti pensare al rimprovero di un genitore verso il figlio. È l’indifferenza il vero pericolo”.
Il rapporto con gli altri sotto il profilo del pensiero ebraico, questo l’argomento della serata, dimostra di stare a cuore alla comunità milanese, visto il numeroso pubblico in sala nel quale spiccavano rabbanìm di diverse sinagoghe, il presidente Leone Soued, alcuni membri del Consiglio.
Il libro dello scrittore americano Dale Carnegie “Come trattare con gli altri e farseli amici”, che ha ispirato la signora Miriam Hason, applaudita organizzatrice della serata, a proporre delle conferenze sull’argomento, viene giudicato da rav Di Segni un po’ troppo “americano” nel connotare il rapporto con il prossimo sotto una prospettiva utilitaristica, quella del venditore che ha bisogno di persuadere il cliente a comprare, quella del padre che vuole convincere il figlio a studiare. “Nell’ebraismo l’approccio che abbiamo nei confronti degli altri non deve ovviamente costruirsi in quest’ottica – specifica – ma questo non significa che una componente di strumentalità non vi sia, è necessario però spostarsi da un piano materiale a un piano spirituale”.
Secondo i dettami dell’ebraismo, mantenere buone relazioni, fiducia, serenità col prossimo, rappresenta infatti una premessa fondamentale per l’adempimento delle mitzvot, e soprattutto di quelle che disciplinano i rapporti tra l’uomo e D-o, come il rabbino capo di Roma illustra con un’efficace metafora. “Se volete comprare del latte, non potete versarlo in un cappello, ma avrete bisogno di una bottiglia, di un contenitore adatto. Ecco, la Torah è il latte, il contenuto, il recipiente necessario è il Derech eretz, il buon comportamento verso gli altri”.
Le parole di rav Di Segni analizzano varie sfaccettature del problema. La Parashà dello scorso Shabbat, Chajjè Sarà, ha offerto un importante esempio del concetto di Derech eretz, il comportamento di Eliezer nei confronti di Rifkà. Quella di questa settimana, Toledot, presenta l’occasione per affrontare un aspetto ancora più complesso all’interno dell’ebraismo, quello del tradimento nei confronti della propria famiglia, del proprio popolo. Giacobbe ingannò il padre Isacco per ottenere la Benedizione al posto di Esaù.
Rav Di Segni ha citato ebrei che nella storia assunsero i comportamenti più infamanti nei confronti di Am Israel, come colui che per ingordigia accettò di essere il primo a profanare il Beit Hamikdash quando fu distrutto dai Romani. Tuttavia alla fine si pentì e smise di cooperare con loro, pagando con la vita.
“Questa storia si è ripetuta nel corso dei secoli – ricorda il rav – Ogni volta che qualcuno ha voluto far del male agli ebrei per prima cosa ha cercato di avvalersi di collaborazionisti, pronti a vendere la propria gente. Tuttavia – esorta – noi non abbiamo nessun titolo per escludere che anche nei peggiori traditori esista la scintilla della Teshuvà”.
Non giudicare il prossimo, dunque. Punto fondamentale per creare quel rapporto di fiducia e vicinanza che la Torah stessa ci prescrive come fondamentale sin dai Dieci Comandamenti. Come si concilia tutto questo con la necessità di ammonire il nostro vicino quando si allontana dall’ebraismo e riaccostarlo alle mitzvot?
“Il Kiruv, l’avvicinamento, è un concetto estremamente delicato” puntualizza rav Di Segni “E’ giusto, per riportare qualcuno alla Torah, scendere a compromessi che si pongono in contrasto con la Torah stessa? Quale deve essere la scelta da suggerire a un amico di fronte all’idea di venire al tempio in macchina o non venirci affatto? È difficile trovare una risposta definitiva. L’idea generale dovrebbe essere che sarà la stessa persona che gradualmente si avvicina, a trovare la sua misura, i suoi compromessi e non che sia chi lo incoraggia in questo senso ad emettere sentenze. Tuttavia – conclude – il punto fondamentale rimane andare incontro alle persone, cercarle, evitare i giudizi, mantenere una religiosità discreta nelle parole, e salda nei comportamenti”.
Rossella Tercatin