…cinematografia
“Ha-haym al pi Agfa (La vita secondo Agfa)” di Assi Dayan, proposto ieri sera all’interno della rassegna “Cinematov 2009 – La Collina della Primavera: cinema israeliano da Tel Aviv” è un film in cui la disperazione e la violenza appaiono come gli ingredienti strutturali di una realtà che sembra priva di un futuro. Forse quel quadro è eccessivo. Tuttavia quel documento sui sentimenti va collocato insieme ad altri se davvero non si vuol avere un’immagine di maniera della realtà culturale, emozionale, psicologica di Israele. Non riguarda solo Israele, ma certo anche per comprendere quella realtà tenere fermo il principio di adottare uno sguardo complesso serve. L’analisi di qualsiasi fenomeno culturale obbliga ad adottare discipline diverse ciascuna rispondente a un proprio codice. E’ un dato che non costituisce una sfida al sapere, ma che impone di non accontentarsi o di considerare errata, comunque limitata, la convinzione che sia sufficiente una sola spiegazione per dare conto di un fenomeno complesso. “Sarebbe una grande illusione – scrive Marc Bloch – immaginare che a ciascun problema storico corrisponda un unico tipo di documenti, specializzato in quest’uso. Invece, più la ricerca si sforza di raggiungere i fatti profondi, meno le è permesso di sperare chiarezza se non dai raggi convergenti di testimonianze molto diverse per natura. Quale storico delle religioni si contenterebbe di consultare i trattati di teologia o le raccolte di inni? Egli lo sa bene: le immagini dipinte o scolpite sui muri dei santuari, la disposizione e l’arredamento delle tombe possono dirgli sulle credenze almeno quanto molti scritti. (Marc Bloch, “L’apologia della storia”, Einaudi, Torino1998, p.53). Non vale solo per la religione, ma per molte altre cose. Vale anche per l’ebraismo. A maggior ragione se si ritiene che l’ebraismo non sia solo religione.
David Bidussa, storico sociale delle idee