Qui Milano – Comunità e rabbini, dibattito al Kesher

La comunità ebraica e il rabbinato italiano negli ultimi vent’anni hanno subito profonde trasformazioni. La presa di coscienza dei nuovi problemi che questi cambiamenti hanno portato con sé suscita sempre più la voglia di discuterne, che prevale ormai sulla tentazione di far finta che non esistano. Il rapporto del rabbino con la propria Comunità si collega a quello tra le diverse anime che compongono l’ebraismo italiano, dei diversi modi di viverlo e sentirsene, o meno, parte.
Questi i temi affrontati a Milano in un incontro-dibattito del progetto Kesher che ha visto come protagonisti il Rav Alfonso Arbib, rabbino capo di Milano, e il Consigliere dell’Unione delle Comunità Ebraiche Italiane Riccardo Hofmann (a destra nell’immagine assieme al Presidente della Comunità di Milano Leone Soued, all’onorevole Pierluigi Bersani e all’ex Presidente dell’Unione dei giovani ebrei italiani Daniele Nahum).
Presentando il tema della serata, il Rav Roberto Colombo, responsabile di Kesher, ne individua l’ideale soluzione. “Non dovrebbe esistere l’alternativa tra un rabbino che si pone al servizio della comunità e una Comunità che si imposta su quanto ritiene il rabbino – spiega – le due cose dovrebbero andare di pari passo. Il titolo ideale di questo incontro dovrebbe essere “Un rabbino per la comunità e una Comunità per il rabbino”.
Il Consigliere Ucei ha ricordato che ebrei italiani iscritti alle Comunità sono diminuiti di numero, perché molti si sono allontanati, e non necessariamente per motivi religiosi. “Ci sono anche ragioni economiche e sociali alla base del progressivo distacco, ma esiste anche il fenomeno di gruppi che conducono una vita ebraica molto attiva senza formalizzare la propria appartenenza alla Comunità”. Un fenomeno molto accentuato a Milano, date le diverse provenienze geografiche e tradizioni dei gruppi che la compongono.
“Senza entrare nelle prerogative proprie del rabbinato, penso sarebbe importante mettere in campo un approccio maggiormente inclusivo – ha affermato Hofmann – in cui la Comunità diventi capace di dispensare diversi servizi e il tempio rappresenti un’occasione di crescita sotto vari punti di vista, e non sia considerato solo un luogo di ritrovo per chi è religioso”.
Il Rav Arbib si è concentrato invece maggiormente su quella che è propriamente la funzione del rabbino all’interno delle dinamiche comunitarie.
Il rabbino deve essere una guida per la sua gente, su questo non ci sono dubbi, ma come, nella pratica, deve comportarsi per svolgere nel modo migliore il suo compito?
Il rav Arbib ha preso a modello della guida del popolo per eccellenza, Mosè, e da quello del fratello Aronne, spiegando come questi interpretino il proprio ruolo in modo differente.
“Mosè si identificava completamente con il suo popolo, ne voleva condividere il destino, anche dopo il drammatico episodio del vitello d’oro era pronto a subire la stessa punizione divina – ha sottolineato il Rav – ma allo stesso tempo non gli risparmiava gli ammonimenti quando sbagliava, e quando esso commise il suo peggior tradimento con la costruzione del vitello d’oro, non esitò a fare giustizia, a punire i colpevoli”. Aronne per Am Israel era pure una guida, ma utilizzava una strategia diversa, continua il Rav Arbib. Sul Pirkè Avot leggiamo che Aronne “ama la pace, insegue la pace, ama le creature e le avvicina alla Torah”. Il rabbino capo di Milano spiega come sia necessario interpretare questo passo. “Quando due persone litigavano Aronne metteva pace, andando da ciascuno a presentare le scuse dell’altro. Quando un ebreo si allontanava dalla Torah, gli stava particolarmente vicino senza fargli notare i suoi errori, senza rimproverarlo, al punto che egli provava vergogna e di sua spontanea volontà cominciava a rispettare nuovamente le mitzvot”.
Due maestri diversi quindi, che tuttavia, evidenzia il Rav Arbib, avevano entrambi chiaro l’obiettivo che perseguivano, condurre gli ebrei sulla strada della Torah. “Questo obiettivo deve esserci chiaro anche oggi, qualunque modello noi rabbanim scegliamo di seguire – ha concluso il rabbino capo di Milano – nel momento in cui ci preoccupiamo di chi si allontana, un problema forte, che esiste, dobbiamo sapere a cosa vogliamo riavvicinarlo”.
A chiudere l’incontro è stato l’intenso dibattito col pubblico in sala, come era stato nella serata sugli ‘ebrei lontani’ svoltasi a settembre, di cui questo ha rappresentato un ulteriore sviluppo. Sono stati molti a voler intervenire, portando la propria esperienza o chiedendo spiegazioni rispetto ad alcuni dei problemi più sentiti, i matrimoni misti, le conversioni dei bambini figli di solo padre ebreo.
Se è difficile che due serate possano portare soluzioni a questioni così complesse, anche quest’ultima ha costituito un’occasione di confronto fra le diverse parti della comunità, rabbanim, istituzioni, gente comune.

Rossella Tercatin