Qui Venezia – Un nuovo centro di studi ebraici, i coordinatori spiegano il loro programma

“Nel 2016 il Ghetto ebraico di Venezia compie mezzo millennio. Per secoli il Ghetto è stato un luogo di segregazione ma anche un luogo di incontro tra culture. Qui la cultura ebraica veniva coltivata e prosperava, e da qui veniva diffusa a livello internazionale.” Così recita l’incipit di presentazione del centro veneziano di studi ebraici internazionali. Ne parliamo insieme a tre dei coordinatori: Shaul Bassi, professore di Letteratura inglese all’università Ca’Foscari di Venezia, Murray Baumgarten, professore di inglese e letteratura comparata all’università della California a Santa Cruz e Napoleone Jesurum, ex dirigente d’azienda.
Come nasce il centro veneziano di studi ebraici internazionali ?
Il centro nasce dalla constatazione che ci può essere un incontro molto positivo e fertile tra l’ebraismo veneziano e l’ebraismo internazionale. Il motto del centro è “Live and learn in jewish Venice” vivi e apprendi, vivi la realtà del ghetto e studia dove secoli prima hanno studiato grandi rabbanim. Il tutto è nato dall’incontro a Venezia di alcuni studiosi interessati, come molti altri nel mondo, alla realtà ebraica veneziana. Osservando quindi questo potenziale inespresso abbiamo deciso di creare una nuova iniziativa culturale che riuscisse a sfruttare a pieno questo flusso di conoscenza.
Perché proprio a Venezia?
Venezia è sempre stata un crocevia di persone e idee. Attualmente il rischio è che diventi un crocevia prettamente turistico, un polo museale e niente più. Questo processo di musealizzazione va naturalmente a discapito di coloro che vivranno in una Comunità con un grande passato, ma senza un futuro. Rispetto ad altre comunità ebraiche italiane con la stessa situazione demografica, Venezia ha un potenziale enorme da offrire al turismo culturale ebraico. Oggi i visitatori soprattutto stranieri fanno però fatica a capire com’era il ghetto in passato, la florida attività degli stampatori e dei maestri che animavano “l’università degli ebrei”. Vedono un luogo pittoresco, ma difficile da decifrare, vedono il memoriale dell’olocausto, visitano le sinagoghe, ma non sanno che questo era un centro culturale pieno di vita.
Il ghetto rappresenta simbolicamente l’esilio ebraico, ma anche come gli ebrei siano riusciti a trasformare l’esilio in ciò che fu, nella sua accezione positiva, la diaspora. Venezia è in questo senso un esempio di successo nel prendere il dramma dell’esilio e a partire da questo riuscire a ricostruire una fruttuosa esperienza ebraica.
Quali sono gli obbiettivi che vi prefissate?
Il centro vuole essere uno strumento che da un lato aiuti i veneziani a conoscere il mondo ebraico internazionale e dall’altro permetta alle persone di tutto il mondo di conoscere meglio la realtà ebraica veneziana. Questo si può ottenere creando un intreccio di relazioni tra tutti gli ebrei che transitano per Venezia in modo da riuscire a conservare e a trasmettere questo patrimonio di conoscenze e tradizioni. Allo stesso tempo il centro si propone come punto di partenza per la creazione di una rete che colleghi le varie realtà ebraiche esistenti con l’interesse che c’è all’estero per la vita ebraica veneziana.
Studiare il passato è anche un modo per modellare il futuro. Gli antichi testi pubblicati a Venezia e l’ebraico di rav Leon da Modena, per esempio, sono un contributo essenziale per la storia della lingua ebraica moderna, un dato che spesso viene ignorato. Se gli israeliani analizzassero da vicino l’ebraico di Leon da Modena troverebbero una linguaggio secco, intelligente, privo di qualsivoglia espressione barocca o artifizio stilistico.
Quali attività propone il centro?
Abbiamo organizzato dei corsi residenziali, seminari di aggiornamento per cinquanta studiosi americani che hanno vissuto insieme, celebrato lo Shabbat, studiato il ghetto, la sua storia e le sue specificità per ben cinque settimane, con il contributo di studiosi locali. Se iniziative di questo genere funzionassero a ritmo continuo, non solo con professori universitari, ma anche con studenti e persone di età diverse, si potrebbe dare a tutti la possibilità di provare un’esperienza intensa di vita ebraica per un periodo medio-lungo, invece che per un brevissima visita del ghetto e delle sinagoghe. Questo è fare veramente turismo culturale.
Nella piccola realtà ebraica di Venezia che ruolo potrà avere in futuro il centro veneziano di studi ebraici internazionali?
In collaborazione con l’ADEI si è appena avviato un primo ciclo di incontri intitolato “Infanzie ebraiche, storie, ricordi, tradizioni della nostra comunità” con testimoni che raccontano le loro storie d’infanzia e i ricordi personali della Venezia ebraica di una volta. La comunità difficilmente può aspirare ad avere persone che si trasferiscano a Venezia in pianta stabile, a questo proposito il centro vuole provare a portare un flusso continuo, una presenza fissa di persone che a rotazione partecipino alla vita ebraica veneziana e allo stesso tempo aiutino anche l’ebraismo italiano a conoscere maggiormente le realtà ebraiche a livello internazionale. Già oggi sull’isola di San Servolo decine di studenti provenienti da Tel Aviv seguono i corsi della Venice International University.
Il centro veneziano di studi ebraici oltre che promuovere attività in collaborazione con la Comunità Ebraica di Venezia, collabora attivamente con l’università Ca’ Foscari di Venezia e con la Venice International University. Come è stata accolta l’iniziativa in ambito accademico?
Riceviamo ancora e-mail di persone, di professori americani che ci scrivono: “L’esperienza di Venezia mi ha cambiato la vita”. In molte università americane si stanno già tenendo corsi riguardanti l’ebraismo italiano e veneziano tenuti da docenti che hanno partecipato alle nostre attività. Parliamo di persone che prima erano, o studiosi dell’Italia, ma che non sapevano nulla sugli ebrei in generale, o esperti di ebraismo che però non sapevano nulla sugli ebrei italiani.
C’è inoltre da ricordare che nella struttura organizzativa del centro e specificatamente nel nostro comitato scientifico siedono professori provenienti da importanti realtà accademiche come Harvard, Tel Aviv, California e Brandeis.

Michael Calimani