Torah oggi – La nostra voce e gli altri

Con pacatezza e precisione il professor Ugo Volli ha posto delle domande importanti. Ne cito una: “E’ sensato che gli ebrei, in quanto ebrei, siano chiamati a parlare dei Dico e della fecondazione assistita e dei diritti degli omosessuali e di analoghi temi etico-politici che evidentemente non riguardano la legge religiosa ebraica ma la convivenza civile?” (pagine ebraiche n. 2, 2009, pag. 14). Immagino sia una domanda retorica cui l’autore forse risponderebbe no. Ma vediamo cosa ha scritto ora Bruno Segre sullo stesso tema, in contrasto e non con altrettanta grazia, riferendosi all’Italia di oggi: “Da qualche tempo si assiste all’involuzione da un ebraismo capace di interagire fattivamente con la società e di dare a essa un ricco contributo culturale e civile, a un ebraismo ripiegato su se stesso, tentato ad autoghettizzarsi, sempre più orientato verso una religiosità rigida, incentrata su un’ortoprassi delirante, venata di fondamentalismo e sostanzialmente incapace di portare una propria voce nel dibattito sui grandi temi del nostro tempo” ( Qol, n. 138 p. 7). Da difensore della “ortoprassi” (e bisogna vedere chi è delirante), temo di dover scontentare entrambe le voci contrapposte. Perché, con buona pace di Segre, la voce dell’ebraismo è ben presente nel dibattito sui grandi temi, ma probabilmente è una voce che non gli piace e per questo la cancella; casomai il problema è nell’eccesso di questa presenza, come osserva Volli (ma quale è il limite che definisce l’eccesso?). Ma a Volli vorrei osservare che è evidente che la legge religiosa ebraica si occupa di bioetica e degli altri temi e che la stessa convivenza civile è tema fondamentale della legge religiosa ebraica. Perché proprio gli ebrei non dovrebbero partecipare con la loro cultura e le loro differenti anime al dibattito generale?

Riccardo Di Segni, rabbino capo di Roma