Hystrio, il teatro israeliano e quello palestinese
La rivista trimestrale di teatro Hystrio, fondata da Ugo Ronfani nel lontano 1988, dedica il dossier del suo ultimo numero (il quarto e quindi quello di chiusura dell’anno) al teatro israeliano e palestinese. Un binomio spesso presente e di non facile gestione.
La rivista, oggi diretta da Claudia Cannella, ha optato per una soluzione funzionale, ma nello stesso efficace: separati in casa. La prima parte del dossier è dedicata al teatro israeliano, in particolare con un articolo di apertura di Abraham Yehoshua che racconta le sue alterne fortune come drammaturgo. Ma in realtà il cuore degli articoli presenti su Hystrio sono due: “Storia e storie lungo un secolo” di Dani Horowitz e l’intervista a Claudia Della Seta, che da circa quindici anni vive e lavora in Israele come attrice e regista.
L’articolo di Horowitz è un percorso storico e critico del teatro israeliano. Dalle origini del movimento sionista che non può che prediligere una forma artistica che aiuta alla formazione di una coscienza collettiva, fino ai giorni nostri con tutte le problematiche del teatro moderno. Intanto un numero a sottolineare che ci troviamo in un altro pianeta. Se in Italia il teatro giace morente con poco pubblico, tanti teatri e compagnie che non possono fare del teatro la loro vita; in Israele i numeri sono completamente diversi: 7.000.000 di abitanti e 12.000.000 di pubblico… in pratica ogni israeliano, senza esclusioni, va almeno due volte all’anno a teatro! Ci sono sei teatri pubblici e un canale distributivo, il Fringe, che permette a tutti di avere la sua occasione di presentare un prodotto teatrale. Le opere drammaturgiche riflettono diversi aspetti della società israeliana come della sua storia. Dopo la caduta del muro per esempio l’arrivo di ebrei russi ha determinato la nascita del Gesher Theater di Yevgeny Arye. Esistono diverse esperienze di teatro arabo-ebraico. Si tratta di una realtà ormai matura, complessa, figlia inevitabilmente di una società che si è andata via via formando dal 1948 in poi.
Il teatro ha avuto il merito, (ma quando non ha avuto questa funzione?), di offrire uno specchio al suo pubblico, di permettergli di confrontarsi con i temi che lo coinvolgevano di più: la corruzione, la guerra, la difficile integrazione tra soldati zabar ed ebrei sefarditi, ma anche all’inizio la mitologia del pioniere, la Shoah e infine un teatro più intimista, esistenzialista fortemente condizionato dal teatro francese.
Un quadro quindi complesso, ricco, che come spesso accade comincia a sentire anche gli effetti della televisione, come di una programmazione, almeno per il teatro ufficiale, un po’ condizionata dalle esigenze dello show. Eppure quanto presentato nella rivista Hystrio è un quadro particolarmente interessante e vivace.
La seconda parte del dossier è dedicato al nascente teatro palestinese. Peccato che non troviamo articoli di suoi rappresentati, ma di italiani, come l’intervista a Gabriele Vacis, direttore artistico del teatro alessandrino, che ha condotto diversi laboratori e attività teatrali in Palestina e in Italia con giovani attori palestinesi. La situazione qui è tutta in fieri, con note particolarmente coraggiose, come di giovani attori che sfidano i check point per raggiungere i teatri per le prove oppure della presenza di ragazze che coraggiosamente affrontano i principi della propria cultura per vivere nuove esperienze umane e speriamo anche professionali.
Il teatro si presenta come luogo di confronto culturale anche interno, dove non c’è spazio per la violenza e la propaganda, ma per una ricerca della comprensione, della ricchezza e di un modo di vivere che esca dalla guerra eterna. Sotto questo aspetto la presenza di una compagnia che si ispira al metodo di Augusto Boal, è il segno di una ricchezza ideale. Non mancano i rifiuti interni soprattutto quando si interpreta il lavoro teatrale come un tradimento della causa palestinese, vedi per esempio le difficoltà della compagnia Freedom Theatre.
Questo dossier ci sembra abbia il merito di partecipare a quella scoperta della società israeliana e palestinese su posizioni culturali e quindi di ricchezza umana. Emergono due società che con modalità diverse si confrontano e cercano vie per sviluppare le loro coscienze. D’altra parte non è questo il compito del teatro? Non fu Napoleone nei suoi ultimi cento giorni a ordinare ai prefetti di occuparsi dei teatri? Di fatti affermando “Questo ramo dell’amministrazione (il teatro) è importante sotto molti aspetti: interessa la morale pubblica, il mantenimento del buon gusto e il progresso delle lettere”. Se pensiamo queste parole ai giorni nostri non possiamo che pensare a una società migliore, quella che può vantare una scena teatrale ricca, matura o in crescita.
Andrea Grilli