…Hanukkah

Che cos’è Hanukkah, senza una hanukkiyah da accendere e un sevivon da far girare? Eppure il sevivon, un oggetto che ci dovrebbe ricordare che solo chi resiste senza compromessi e rifiuta di assimilarsi ha la possibilità di un futuro, ha una storia che non coincide con ciò che molti immaginano. Un gioco di scommesse praticato nell’antica Grecia; poi trasformato nella sua forma attuale nella Gran Bretagna del XIII secolo, denominato “teetotum” e praticato nel giorni del Natale; diffuso nell’Europa centrale nel XVIII secolo e per quella via sia entrato nel mondo yiddisch col nome di “dreidel”, una parola che ha la sua radice nel verbo tedesco “drehen”, “ruotare”. Un gioco che non è solo europeo, e che secondo altre ricerche è presente nei gruppi aborigeni dell’Australia (così,per esempio documenta il paleoantropologo Robert Etheridge (1846 -1920) in un suo breve studio – “The game of Teetotum”, pubblicato nel 1896. Un gioco che in Germania assume le lettere ai quattro lati che esprimono anche il significato del gioco. Ovvero N= Nichts (niente); G=Ganz (tutto); H=Halb (metà); S=Stell ein (chiudo). Quattro lettere che il “trudl”, così si chiama in tedesco, divenuto “dreidel” in yiddisch, si traslitterano in nun; ghimel; hei; shin. E che qualcuno legge con “Nes Gadol Hayà Sham”. Si potrebbe dire con leggerezza che ognuno assegna il significato alle cose per come vuole che esse siano. E’ vero, ma io ci vedo qualcosa di più. Trovo ironico, ma anche istruttivo che il simbolo giocoso di una festa che intende celebrare l’assoluta volontà di non assimilarsi sia espresso da un oggetto che è il segno più evidente dell’intercultura. Ironico perché questa storia è giusto che faccia sorridere. Istruttivo perché ci ricorda che quello che siamo, le cose che facciamo, e ciò che pensiamo non discendono per derivazione da un codice originario, esclusivo e solo nostro, ma tutti noi siamo il risultato di molti mescolamenti e di molti prestiti.

David Bidussa, storico sociale delle idee