Medicina e informazione al convegno dell’Associazione Medica Ebraica
Medicina ed ebraismo. Una storia con molti punti comuni nel corso dei secoli, grazie a tanti ebrei che si sono dedicati alla scienza medica apportando un contributo rilevante se non fondamentale, da Maimonide, grande medico e un grande studioso di Talmud a Freud, il padre della psicanalisi.
Nel 2004, le storiche organizzazioni di medici ebrei in Italia hanno dato vita ad un’unica associazione nazionale, l’Associazione Medica Ebraica (Ame).
Si è svolto recentemente il tradizionale Convegno organizzato dal gruppo tosco-emiliano dell’Ame Mosè Maimonide, con la Comunità ebraica e l’Università degli Studi di Ferrara, proposto ogni due anni allo scopo di trattare un tema fondamentale della medicina che metta in evidenza il punto di vista ebraico. Dopo aver discusso nelle passate edizioni di kasherut, di disagio psichico, di invecchiamento, quest’anno si è scelto di parlare dell’“Informazione sanitaria nella tradizione religiosa, nella società contemporanea e nella legislazione”, un tema quanto mai attuale come ha spiegato il professor Germano Salvatorelli, ordinario di Istologia all’Università degli studi di Ferrara.“Una volta la posizione del medico rispetto a quella del malato era decisamente preminente – sottolinea – Oggi invece non è più così. Paziente e medico sono sullo stesso piano e la comunicazione deve andare nei due sensi, ecco perché abbiamo scelto di occuparci della questione”.
Un problema che ricopre un ruolo fondamentale anche dal punto di vista ebraico, ha evidenziato il Rav Luciano Caro, rabbino capo di Ferrara, sottolineando come la verità, nel rapporto tra medico e paziente, “rappresenti un bene importante, ma non assoluto. Lo scopo principe del medico deve essere il bene del malato, e in questo senso talvolta una mezza verità può essere preferibile perché è fondamentale lasciare sempre una porta aperta alla speranza”.
Il convegno è stato moderato dal professor Giorgio Mortara, presidente dell’Ame, che racconta il suo punto di vista sui temi trattati.
Professor Mortara, qual è il suo giudizio sull’importanza del tema della comunicazione in ambito sanitario?
Ritengo che il problema al giorno d’oggi sia veramente forte. Noi medici dobbiamo preoccuparci della sfera del rapporto tra medico e paziente, e al convegno è stato interessante conoscere l’approccio alla questione nelle diverse branche della medicina, dalla psicanalisi alla pediatria. Un altro punto fondamentale in questo ambito è stato anche l’informazione generale attraverso i mezzi di comunicazione a proposito delle nuove emergenze sanitarie, qualche anno fa l’aviaria, oggi l’influenza A.
Come giudica l’informazione dei mass media italiani su queste tematiche?
La gente ha una grande paura delle malattie. Quando si diffondono nuovi virus, non si possono avere certezze sulla gravità delle patologie di cui sono portatori, né sulla capacità di contagio. All’inizio pertanto un certo allarme può essere giustificato. Troppo spesso però questo viene amplificato in modo eccessivo da giornali e televisioni, e da qui parte una gestione del problema che diventa sbagliata, perché col passare del tempo i dati a disposizione aumentano e non giustificano il panico. L’aviaria non ha portato all’annunciata pandemia, e anche l’influenza A sta facendo riscontrare un tasso di mortalità inferiore alla normale influenza stagionale, anche se non siamo ancora arrivati al periodo di picco massimo del contagio. Quello che colpisce l’opinione pubblica è sicuramente il fatto che ad ammalarsi siano soprattutto i più giovani, ma questo è assolutamente normale considerando che l’organismo più giovane ha conosciuto meno malattie e quindi sviluppato meno anticorpi.
Qual è l’apporto peculiare alla medicina proprio del pensiero ebraico?
Il grande punto di forza del pensiero ebraico nell’ambito medico è sempre stato quello di considerare la salute dell’uomo nella sua globalità, fisica e mentale. Un approccio che oggi può apparire scontato, ma che in passato era assolutamente minoritario. In questa prospettiva, la dimostrazione del contributo dato dal pensiero ebraico alla medicina penso si possa individuare nell’apporto fondamentale di medici e pensatori ebrei alla psicanalisi. Questo perché nell’ebraismo, la salute del corpo e della mente è il mezzo fondamentale attraverso cui è possibile adempiere alle mitzvot. Il medico diventa quindi colui che, preservando e curando la salute dei suoi pazienti, permette loro di seguire i dettami della Torah, e in questo senso, diventa una figura assolutamente centrale, che merita rispetto e gratitudine per quello che fa anche dallo stesso punto di vista religioso.
Rossella Tercatin