Qui Milano – “L’Amore colpevole” Maurizio Rosensweig presenta il suo libro

Nel 2000, quando “L’Amore colpevole” uscì per la prima volta, il graphic novel ancora non esisteva, così come il genere del fumetto autobiografico, e il suo autore Maurizio Rosenzweig, disegnatore e sceneggiatore, insegnante alla Scuola del Fumetto di Milano, collaboratore di Pagine Ebraiche, fu guardato come un innovatore. Oggi, il graphic novel è un genere affermato e, dopo dieci anni dalla prima pubblicazione, i tempi erano maturi per una nuova edizione. Una nuova edizione, quella presentata a Milano alla Associazione Esterni e pubblicato dalla BD edizioni, che non è una semplice copia della vecchia, ma che è stata rivista e arricchita di 40 pagine.
In quest’opera di ispirazione autobiografica, l’autore tratta del suo rapporto con le donne, attraverso il suo alter ego d’inchiostro Davide Golia, che si ritrova in un tribunale di sole donne a rispondere di come nella vita si è relazionato con il genere femminile e con l’amore stesso, tra egoismi e tradimenti, in un processo dai contorni onirici.
Maurizio, cosa significa riprendere in mano un’opera dieci anni dopo averla scritta e disegnata?
Ho sentito che era arrivato il momento giusto per rimettermi a lavorare su “L’amore colpevole” e così ho riguardato la sceneggiatura, insieme a un editor e l’ho ampliato. Questo graphic novel però rappresenta molto di quello che ero e di come lavoravo dieci anni fa, se avessi dovuto ideare la stessa opera col medesimo soggetto, oggi, avrei scritto e disegnato tutto diversamente. Questo perché quello che riporto sulla carta rappresenta semplicemente il mio modo di vedere le cose, che ovviamente si evolve nel corso del tempo.
Quando disegni, lo fai di getto, trascrivendo sulla carta l’impulso di qualcosa che ti balena nella testa o hai un approccio maggiormente riflessivo, pensando e studiando prima di cominciare?
Decisamente la prima. Per me disegnare rappresenta un modo di essere, di dire quello che sono. Non posso fermarmi a pensare, altrimenti quello che ho in testa potrebbe cambiare prospettiva, e il risultato sarebbe diverso. Anche per questa ragione i miei lavori non considerano le sensazioni che susciteranno nei lettori, non sono fatti per gli altri, sono fatti da me, partendo da quello che ho dentro. Questo può creare alcuni problemi. Per esempio nel caso di “L’amore colpevole”, alcune amiche si sono offese per come le ho rappresentate, perché non si riconoscono nell’immagine che ho dato di loro, altre si sono risentite perché non sono state menzionate nel libro. L’unico tipo di mediazione che esiste nel mio lavoro è quella data dai topos della letteratura, del cinema, del teatro, che mi appartengono quasi senza che me ne renda conto, ed è così che li utilizzo anche senza una specifica volontà.
Esiste qualche elemento della cultura o della tradizione ebraica che ha avuto un’influenza nel tuo lavoro?
Sicuramente l’ebraismo nella mia esperienza è entrato sotto una dimensione più culturale che religiosa, nonostante io sia cresciuto in una famiglia legata ai valori tradizionali. Se dovessi scegliere qualcosa di esplicito, direi Woody Allen e il suo modo drammatico di raccontare la commedia, anche se poi ci sono centinaia di scrittori, artisti, personaggi ebrei di cui ho conosciuto le opere che hanno senz’altro avuto un’influenza su di me e quindi sul mio lavoro, anche se in modo molto meno diretto.

Rossella Tercatin