I Coen tra i rabbini e il caos

Siete appena entrati in una sala dove proiettano A Serious Man, il nuovo film dei fratelli Coen. Quelli di Arizona Junior, Fargo, Il grande Lebowski, Non è un paese per vecchi. I vostri registi preferiti. Il titolo, lasciato in inglese (si poteva tranquillamente tradurlo in Un uomo serio), vi ha indotto al sospetto, ma siete entrati tranquilli. Parte il film. Siamo in uno shtetl, un villaggio ebraico in qualche angolo sperduto dell’Europa centrale. Sarà la fine dell’ottocento. I personaggi cominciano a parlare. Oddio, che diavolo stanno dicendo? In che lingua parlano? Accidenti, ci sono i sottotitoli. Maledizione, i Coen hanno fatto un film in una lingua assurda e quei pazzi di Medusa hanno deciso di non doppiarlo! Un attimo di pazienza. La lingua misteriosa che state ascoltando è yiddish, Quello che state vedendo è il prologo. Il resto del film è in inglese e ora, nelle sale italiane, è doppiato in italiano (…). Medusa ha fatto benissimo a lasciare il prologo in yiddish. Per il senso di straniamento che provoca questa lingua arcaica (…). Ma soprattutto perché esso dice cose molto interessanti sui Coen medesimi. I Coen, forse l’avrete capito, sono ebrei. Ebrei del Minnesota, come Bob Dylan: e come Dylan sanno la Bibbia a memoria. A Serious Man si svolge in quello stato, lo stesso di Fargo (..). Volendo semplificare, è una riflessione sull’essere ebrei ortodossi e osservanti nell’America degli anni 60, quando i giovani scoprono il rock’n’roll, la liberazione sessuale è in agguato e le tentazioni sono millanta. […]

(Alberto Crespi, L’Unità, 4 dicembre 2009)