Qui Torino – Daniel Schinasi e il neofuturismo

Parigi 1909. Sulla prima pagina di Le Figaro appare il Manifesto del Futurismo di Filippo Tommaso Marinetti. 1970, di nuovo Parigi: viene lanciato il Manifesto del Neofuturismo. Fondatore di questa corrente artistica è Daniel Schinasi.
È stata inaugurata il 12 novembre la sua personale mostra alla galleria Laura Rocca di via Maria Vittoria a Torino e durerà fino al 20 dicembre (nell’immagine un momento dell’inaugurazione della mostra, il presidente della Comunità Ebraica di Torino Tullio Levi è stato fotografato assieme all’artista).
La sua concezione dell’arte riprende alcuni temi del futurismo ma presenta differenze sostanziali rispetto al movimento originale: non vi è più l’esaltazione della macchina, della tecnologia, della velocità. Non vi è più “la guerra come igiene del mondo”, motto futurista che porterà tanti giovani nelle file dell’irredentismo prima e del fascismo poi. L’arte di Schinasi è più umanista: “Tento una ricomposizione del soggetto – spiega Schinasi – destrutturato dai miei predecessori, i futuristi. Ricerco una dimensione umana nella natura. La sfida è quella di rappresentare un mondo in cui l’uomo possa restare integro e aspirare alla propria realizzazione. L’arte pseudo-contemporanea è in agonia, evviva la rinascita dell’arte”, afferma. “La pittura dev’essere espressione di vita, ma una tela con un buco in mezzo non esprime un bel niente. Ci vogliono imbrogliare, ogni presunta originalità è valorizzata e sovrastimata, e intanto si è perso il contatto con la realtà”.
Come mai, viene da chiedersi, un pittore così sensibile alla vicenda dell’uomo sulla terra, con le sue sofferenze e le sue speranze, ha deciso di recuperare una corrente artistica, il futurismo, che nel suo modernismo dogmatico quasi dimenticò l’umanità in favore della macchina? “In realtà – spiega – io ho conosciuto il futurismo quando già avevo elaborato il mio stile neofuturista. I miei riferimenti erano l’impressionismo e la pittura rinascimentale italiana: mi capitò però di scorgere la geometria nella natura, ma questa geometria non distrugge le forme, come in Picasso, bensì le costruisce. Sta qui la grande differenza tra la pittura futurista e la mia: nella dinamica non spariscono le forme, non si dissolve il soggetto. Si ricostruisce”. C’è un salto filosofico, oltre che pittorico. C’è la rivalutazione dell’uomo come soggetto artistico principale.
Daniel Schinasi nasce ad Alessandria d’Egitto (stessa città di Marinetti) nel 1933, da una famiglia sefardita livornese. Nel 1956 decide di tornare a Livorno, a causa del clima poco favorevole agli ebrei durante il governo Nasser. “Partii con una valigia e ventiquattro dollari – racconta – L’Europa mi ha profondamente cambiato, ha aperto la mia mente e i miei occhi”. Il contatto con la campagna Toscana, luogo che gli rimase sempre caro, gli rivelò una realtà che non conosceva: la fatica del lavoro della terra, la sofferenza e la povertà. Inoltre, intrattenendo rapporti con la Comunità Ebraica di Livorno, scoprì la storia del suo popolo, s’interessò alle persecuzioni subite dagli ebrei nella loro storia, e questo lo portò verso una pittura impegnata. “Racconto la storia del mio popolo, le sue pagine più buie, dall’Inquisizione alla Shoah – dice – Avverto, come artista, il compito di coltivare la memoria”. “L’arte – sostiene – deve avere un valore pedagogico”. Le sue opere rievocano il passato, non solo per onorare, ma soprattutto per vigilare e lottare affinché l’ebreo sia un uomo tra gli uomini, con dignità, libertà e con i comuni valori del genere umano.
Tra le ultime sue opere di argomento ebraico troviamo La famiglia del calzolaio dello shtetl, una serie di pannelli lunga sei metri, esposta a Cascina, e Exodus, omaggio ai perseguitati, opera principale della personale torinese. Quest’ultima è stata dipinta nel giugno di quest’anno in occasione del sessantesimo anniversario della vicenda della nave Exodus, che ispirò il celebre film con Paul Newman. “Alla celebrazione dell’anniversario, organizzata dal comune di Marsiglia, ho conosciuto alcuni passeggeri di quella nave – racconta – È stato molto emozionante, ho anche scoperto un cugino lontano (circostanza non rara tra gli ebrei)”.
Meno recente ma assolutamente da citare, nell’ambito della sua produzione di argomento ebraico, è Il sacrificio di Isacco, tema biblico e simbolo della sofferenza di cui Daniel Schinasi è testimone.
Questa sensibilità ai patimenti del suo popolo assume un’espressione agghiacciante nel suo Omaggio alle vittime dell’Olocausto o nel suo Giacobbe lotta con l’angelo, che esprimono la ribellione del popolo ebraico contro il suo terribile destino.
Molto stretto è il legame di Schinasi con Israele, spiega: “Soprattutto da quando mio figlio ha fatto l’aliyà vivo più intensamente la realtà israeliana. Ho anche avuto diverse collaborazioni artistiche in Israele, ho esposto a Gerusalemme, Tel Aviv e Haifa”. Il vicesindaco di Gerusalemme, David Cassuto, in occasione di un’esposizione di Schinasi scrisse di lui: “Le sue opere esprimono l’amore per la terra e il popolo di Israele, per Gerusalemme e i suoi abitanti, attraverso la rappresentazione da una parte di panorami aperti, dall’altra di scene urbane dal sapore antico”.

Manuel Disegni