L’anello di Immanuel
Non solo confronto teologico, ma anche cultura e arte. Benedetto XVI nella sua visita avrà occasione di inaugurare al Museo della sinagoga la grande mostra di pannelli dipinti preannunciata sullo scorso numero di Pagine Ebraiche. E potrà ammirare alcune meraviglie che testimoniano come gli ebrei di Roma, sempre stretti fra la necessità di combattere per la propria sopravvivenza e la sfida della continuità con gli ideali ereditati dai padri, abbiano saputo creare tesori inestimabili. “Gli omaggi che tradizionalmente gli ebrei porgevano ai nuovi papi al momento della loro elezione – commenta la direttrice del Museo ebraico di Roma, Daniela Di Castro – servono a comprendere quale fu per secoli la particolare posizione di questa comunità. Stretta fra gli obblighi del ghetto e del pregiudizio e la volontà, oltre che l’orgoglio, di essere parte attiva negli eventi che coinvolgevano l’Urbe, così da continuare ad essere considerati cittadini romani, cosa che permetteva loro, fra l’altro, di poter restare nel luogo dove si erano insediati secoli e secoli prima, mentre altrove, in Italia e in Europa, la presenza ebraica era continuamente messa in questione”. Questo senso di contraddizione dolorosa, di segnali e di simboli di dolore e di coraggio, di coercizione e di vita, si ritrova nei pannelli settecenteschi rinvenuti negli archivi della Comunità. Partecipare alla decorazione del percorso della cavalcata con cui il papa prendeva possesso della città e della basilica lateranense, era un grande onore per tutti i cittadini, ambito dalle famiglie nobili, dalle corporazioni e da associazioni diverse.
Anche gli ebrei erano chiamati a partecipare nell’ultimo tratto di strada dopo i Fori, proprio in prossimità dell’Arco di Tito. Gli addobbi a loro richiesti prevedevano arazzi e altri tessuti di gran pregio sopra i quali venivano montati pannelli ornati da miniature, motti e citazioni bibliche. “I motivi allegorici raffigurati da bravi miniaturisti – continua Daniela Di Castro – così come la collocazione proprio sotto quell’arco che costituisce il simbolo stesso della mancanza di libertà della minoranza ebraica – rendono questi documenti una testimonianza importante. Le vicende della minoranza ebraica non costituiscono una storia lineare, ma sono continuamente attraversate da segnali di negazione, di gioia di vivere e di resistenza culturale in un caleidoscopio unico”. Le civette che trainano il carro di Minerva, la citazione di antiche frasi della tradizione ebraica (“Benedetto sii Tu quando vieni” cui subito si aggiunge ”Benedetto sii quando vai”), sono solo alcuni degli enigmatici segnali esposti. “Il Settecento – spiega la direttrice – è stato per gli ebrei romani un secolo denso di travagli. Nel 1682 erano stati chiusi i banchi di pegno, all’inizio del secolo seguente si moltiplicavano le prediche e i battesimi forzati e già dal 1553 si bruciava il Talmud, che rimase proibito a Roma fino al 1870”. Anche il catalogo, che porterà l’introduzione del rabbino capo della Capitale Riccardo Di Segni e del Presidente della Comunità ebraica di Roma Riccardo Pacifici, vuole essere non solo la guida a opere di immenso significato storico e artistico, ma una testimonianza del ruolo insostituibile che gli ebrei di Roma hanno svolto per questa minoranza e per la città che abitano. Ma i pannelli dipinti non saranno i soli segnali a costellare la visita del papa agli ebrei di Roma.
Fra i tesori che Benedetto XVI potrà ammirare vi sono opere prestate dalla Galleria nazionale d’arte antica e dal Museo di Roma, dalla Fondazione Besso dalla Biblioteca Malatestiana di Cesena e Lolliniana di Belluno. C’è poi un anello che al museo è stato appena donato. Non si tratta solo di un oggetto prezioso, ma anche di un simbolo. Il cammeo è di papa Pio VII Chiaramonti (1740-1823), pontefice dall’anno 1800. Ma l’anello cela agli occhi indiscreti, all’interno di una doppia fascia chiusa da una cerniera, l’iscrizione “Immanuel”. Forse un nome di Gesù, ma in questo caso perché nascosto? Il nome del proprietario, allora? O piuttosto una parola chiave che in ebraico assume la dimensione della rivendicazione della nostra vicinanza a Dio? In ogni caso un gioiello unico nel suo genere che unisce al realismo del ritratto l’eccezionalità dell’identità ebraica del committente. L’anello rispecchierebbe la situazione in quegli anni: le proprie radici dovevano essere celate, mentre era l’omaggio al pontefice a essere esibito.
L’intaglio “in tenero”, vale a dire in conchiglia, aveva a Roma una tradizione secolare consolidata. E fu proprio con il XIX secolo che in questa particolare produzione si toccarono gli esiti più prestigiosi. L’anello sembra arrivato per chiudere il cerchio di una vicenda. Quella, senza pari, degli ebrei di Roma.
Pagine Ebraiche, gennaio 2010