Il rigore del digiuno per risvegliare i cuori

Allorché Yosef si fece riconoscere dai suoi fratelli in Egitto, la Torah racconta che “cadde sul collo di Binyamin suo fratello e pianse; e così Binyamin pianse sul suo collo” (Bereshit 45,14). Così commenta Rashi: “E cadde sul collo… e pianse – Per i due Santuari che sarebbero esistiti successivamente sul territorio di Binyamin e sarebbero stati distrutti. E così Binyamin pianse sul suo collo – Per il Tabernacolo di Shilo che sarebbe esistito successivamente sul territorio di Yosef e sarebbe stato distrutto”.
Per quale ragione Yosef e Binyamin piangono ora per i due Santuari destinati ad essere distrutti, molti secoli prima della loro stessa edificazione? Perché piangere fin da ora? La Torah ci insegna che qualsiasi cosa si costruisca richiede la nostra preoccupazione e il nostro interesse molto tempo prima che arriviamo a porre materialmente la sua prima pietra. Yosef e Binyamin desideravano che i Santuari
non fossero distrutti del tutto. L’obbligo di ricordare la distruzione del Bet Hamikdash è stabilito dalla Halakhah e si esprime in ogni occasione di gioia. Fra i segni che si fanno in ricordo della distruzione quando si costruisce una casa vi è la prescrizione di lasciare senza intonaco mezzo metro quadrato di muro (O. Ch. 460,1), in genere di fronte all’ingresso e comunque in modo visibile, così che chiunque entri in casa ne percepisca immediatamente il messaggio: nessuna costruzione ebraica potrà dirsi completa finché non verrà riedificato il Santuario. Anche il Bet Haknesset di Torino risponde appieno a questi requisiti. Nella parete dinanzi all’entrata vi è una parte del muro lasciata incompleta con la scritta Zekher Lachurban, “in ricordo della Distruzione”. Dove ciò non è possibile, come per esempio chi prende in affitto una casa appartenente ad altri, deve appendere alla parete un panno con la scritta: “Se ti dimentico Yerushalaim possa dimenticarmi della mia mano destra” e ciò sarà sufficiente. Il Kaf Hachayim di Baghdad osserva che “chi osserva puntualmente questa Halakhah godrà di stabilità eterna per la sua casa e per tutti coloro che vi abitano”. Ma non è questa l’unica Halakhah relativa al ricordo della Distruzione. Maimonide
(Hil. Ta’anit 5,1) scrive che “vi sono giorni in cui è prescritto il digiuno per tutto Israel per via delle disgrazie accadute, al fine di risvegliare i cuori e aprire le vie del pentimento”. Egli spiega che il ricordo delle sciagure antiche, simili alle nostre (in quanto ciò che è accaduto ai padri è un segno per i figli) ci spinge a migliorare il nostro comportamento.
Il digiuno a sua volta ci sprona alla meditazione, in quanto nella nostra ottica sono in definitiva le nostre trasgressioni e quelle commesse dai nostri padri la matrice di ciò che ci accade. Yeshayahu lo spiega con il versetto 54,4: “Il giorno in cui l’uomo affligge la sua anima china come una canna la sua testa”.
Pertanto è opportuno fare di queste giornate un’occasione di studio e di riflessione anziché di distrazione e divertimento.
Uno di questi digiuni è il 10 Tevet che ricorre quest’anno il 27 dicembre. In questo giorno, a opera del re di Babilonia Nabucodonosor, iniziò quell’assedio a Yerushalaim che avrebbe portato alla distruzione del Santuario. Il 10 Tevet ha un aspetto di rigore rispetto agli altri digiuni.
Dalla posa dell’assedio alla breccia nelle mura, il 17 Tammuz, trascorse molto tempo, eppure i nostri Padri non sfruttarono l’occasione per fare Teshuvah.
Il digiuno comporta astensione completa da ogni cibo e bevanda. Anche se il digiuno è prescritto dall’aurora all’uscita delle stelle, una volta che ci si è coricati per dormire il divieto di mangiare scatta a partire dal momento del risveglio anche se questo avviene prima dell’aurora, a meno che la sera prima non si fosse espressa esplicita condizione di alzarsi a mangiare prima dell’aurora. Tale clausola non è invece richiesta per il bere: chi si alza prima dell’aurora potrà bere entro gli orari prescritti anche se non ne aveva espresso intenzione la sera precedente.
Le Tefillot del digiuno comportano per i digiunanti l’inserimento di un’aggiunta speciale nella Amidah, Anenu, in cui si chiede a D-o di esaudire lo sforzo del nostro digiuno. Vi è a questo proposito una differenza fra l’uso sefardita e italiano e quello ashkenazita. Mentre i primi inseriscono Anenu sia nella Amidah di Shachrit che in quella di Minchah, gli ashkenaziti lo recitano solo a Minchah:
secondo questa opinione, infatti, prevale il dubbio che l’individuo possa essere costretto ad interrompere il digiuno a metà giornata nel qual caso la recitazione di Anenu avvenuta al mattino si rivelerebbe a posteriori una affermazione non veritiera. Ha luogo inoltre la lettura di una speciale Parashah a Shachrit e a Minchah, nonché di una Haftarah speciale, solo a Minchah. Perché tutto questo abbia luogo è necessario non solo avere il minyan ma anche che vi sia compresa una maggioranza (almeno sei uomini) che si impegni fin dall’inizio a portare a termine il digiuno.
E’ uso delle Comunità italiane che i digiunanti indossino i Tefillin sia a Shachrit che a Minchah.Tutti sono tenuti ad osservare il digiuno, eccetto le donne in stato interessante e le puerpere che allattano. Anche persone molto anziane o
ammalate sono esentate, ma devono mangiare soltanto quanto basta loro a mantenersi in forze e non approfittare dell’esenzione per godere del cibo.Da anni al Digiuno del 10 di Tevet è stato associato un significato nuovo. Per disposizione del Rabbinato Centrale d’Israele esso è diventato lo Yom Hakaddish Haklali per fornire un anniversario simbolico a tutti quei martiri della Shoah di cui non si può conoscere la data della morte e, spesso, neppure il luogo della sepoltura, ammesso che siano mai stati sepolti. In tal modo si ritiene di “riparare”, se non altro sul piano religioso, all’”assedio” dei campi di concentramento. In tutte le Comunità si tiene una speciale Commemorazione dei deportati, con la lettura dei nomi e la recitazione del Kaddish. In tempi ancora più recenti il Parlamento israeliano ha istituito lo Yom Hashoah
(Vehaghevurah), nell’anniversario dell’insurrezione del Ghetto di Varsavia, che ha preso piede nel mondo ebraico quasi in “concorrenza” con il 10 Tevet. Non è qui la sede per discutere dell’opportunità di questa scelta. E’ senz’altro meritevole il fatto di dedicare una giornata in più al ricordo della Shoah, meglio se attraverso occasioni di studio e approfondimento. Ma per quanto concerne la recitazione del Kaddish è meglio attenersi alle indicazioni dei nostri Maestri, che ci raccomandano di non moltiplicare le occasioni di lutto. Dal momento che è già istituito fin da antico il 10 Tevet come giorno di digiuno, nulla vieta di associare al suo significato e recitare in detto giorno anche la Commemorazione dei deportati. Incidentalmente, questo è l’uso seguito della Comunità di Torino. L’augurio è che possa presto realizzarsi la Profezia di Zekharyah secondo cui tutti i Digiuni sono destinati a trasformarsi in giorni di gioia per il popolo d’Israele.

Alberto Moshe Somekh, rabbino capo di Torino,
Pagine Ebraiche gennaio 2010