Qui Firenze – Il laboratorio teatrale della Comunità reinterpreta un purimspiel di Itzik Manger

Dopo i grandi apprezzamenti ricevuti con “La tavola della festa”, performance messa in scena in occasione della Giornata Europea della Cultura Ebraica del settembre scorso, sono da poco riprese le attività del laboratorio teatrale della Comunità di Firenze diretto da Laura Forti, affermata drammaturga e traduttrice teatrale, molto nota anche all’estero, autrice del monologo “Via da Freedonia”, piece splendidamente interpretata dall’eclettico Enrico Fink. “La tavola della festa” prendeva spunto dal Seder di Pesach ed era stata un’occasione per confrontarsi su argomenti rilevanti per la vita quotidiana degli ebrei moderni, come l’importanza della tradizione e la difficoltà di fare convivere ai giorni nostri memoria, legge e sensibilità individuale. La nuova esibizione alla quale il gruppo del laboratorio sta lavorando, invece, andrà ad affrontare i grandi temi della festa di Purim, come il momento liberatorio e trasgressivo, la libertà, la responsabilità individuale e l’assenza di Dio, e sarà un adattamento del purimspiel “De Megile” di Itzik Manger, celebre poeta e drammaturgo in lingua Yiddish vissuto nel secolo scorso. Scritta nel 1936, “De Megile” rappresenta una delle rivisitazioni (in rima) più originali del Libro di Ester, tanto che grande spazio è dedicato ad un personaggio di pura fantasia come Fastigrossa il sarto, innamorato della regina e intenzionato a uccidere il re Assuero per conquistarne le attenzioni. A occuparsi della rielaborazione di questa storia tanto amata da grandi e piccini saranno una decina di ebrei fiorentini, che vanno a comporre un nucleo “vario e composito, per età e esperienze”, come spiega Laura. Si passa, infatti, dai diciotto anni di Lea ai qualche “anta”, pur splendidamente portati, di Elio. Ognuno con la sua storia personale, così diversa e così interessante, così sefardi e così ashkenazi, “un coro dalle molte voci e dai tanti punti di vista”. Ed è proprio quella di arrivare a un confronto tra le diverse esperienze, e al conseguente arricchimento personale che ne deriva, una delle finalità del laboratorio, che rappresenta uno spazio “in cui rielaborare la propria identità ebraica e quella di individui e di riflettere sul mondo in cui viviamo”, oltre a costituire “un punto di aggregazione, un luogo dove potersi ritrovare e esprimere usando un linguaggio creativo non convenzionale e liberatorio come il teatro, un luogo dove avere l’occasione di lasciar liberi corpo, fantasia e immaginazione”. E mentre gli incontri del laboratorio si susseguono, nel gruppo c’è già chi si chiede a chi toccherà il difficile compito di portare in scena il “perfido e impronunziabile Amman” o “il re Assuero col naso rosso e dal cipiglio altero”.

Adam Smulevich