Attorno al letto del padre morente. In memoria di Rav Sergio Sierra z.l.
Quando nostro padre Jaakov-Israel si sentì in procinto di morire, tutti i figli – i futuri capi delle tribù di Israel – finalmente in pace fra loro, vennero assieme a trovarlo; quella pace che Jaakov aveva invano cercato nella sua terra, nella terra di Canaan (vaJeshev Jaakov, Gen. 37:1 con il commento di Rashi), sembra essere stata ritrovata – tragica sorte – proprio in terra d’esilio (fine della parashà di vajgash).
Non vi è chi, come Jaakov, si renda conto dei pericoli dell’assimilazione offerti dalla allettante cultura della prima potenza del mondo d’allora. Qui voi volete vivere, sembra dire il vecchio ai suoi figli, e in particolare a Josef? Io non voglio stare qui neppure dopo morto: “Non seppellirmi in Egitto” (Gen. 47:29); “per te sono sceso in Egitto e non voglio che mi si renda un culto come ad un idolo” (Midrash Bereshit Rabbà 96:5). Spera Jaakov che questo possa servire di lezione allo stesso Josef, a tutti i suoi figli e nipoti: “Non è la Golà il posto per noi né tantomeno per i nostri discendenti”, ci insegna Jaakov… (Cfr. Rambam, Hilchot Melachim,5:11).
Nel capitolo 49 di Bereshit (Genesi), versetto 2 leggiamo: “Adunatevi e ascoltate, figli di Jaakov, ascoltate Israel vostro padre…”
Cosa ha detto il padre morente ai suoi figli? Il Testo ci riporta le benedizioni date da Jaakov a ogni figlio-tribù; ma è interessante notare come questo versetto sia stato interpretato dalla tradizione: da un lato abbiamo la sensazione assai viva del timore di Jaakov per quello che la Golà significa, dall’altro l’uso del verbo lishmoa, ascoltare, ha permesso ai Maestri di cercare di spiegare esattamente cosa si siano detti Padre e figli. Abbiamo una tradizione che nell’ora in cui nostro Padre Jaakov riunì i suoi figli in Egitto nell’ora della sua morte, comandò loro e li esortò all’Unità di D-o e alla via di D-o che avevano percorso Avraham e Izchak suo padre, e li interrogò chiedendo loro: “Figli miei, forse vi è in voi un difetto (nella vostra fede in D-o e nella Sua unità), vi è chi non si sente con me nell’Unità di D-o? Come ha detto a noi Moshé nostro Maestro. Se per caso ci fosse in mezzo a voi un uomo o una donna…il cui sentimento si distoglie oggi dal Signo-e D-o nostro..”.(Devarim, 29, 17).
Hanno risposto tutti ed hanno detto: “Ascolta, Israel, il Signo-e è il nostro D-o, il Signo-e è uno”! Cioe`: “Ascoltaci, nostro Padre Israel, il Signo-e è il nostro D-o, il Signo-e è uno”!
Riprese il vecchio e disse: “Baruch shem kevod malchuto leolam vaed – Benedetto sia in eterno il Nome del Suo glorioso regno.
(Rambam, regole sulla lettura dello Shemà, 1: 4, basato su Midrash Bereshit Rabbà 98:3)..
Il timore di Jaakov era reale e fondato soprattutto sul fatto che proprio a suo nonno Avraham era capitato di avere un figlio come Ishmael e proprio a suo padre Izchak di averne uno come Esav; ora lasciando i suoi figli in Egitto Jaakov aveva il timore che anche nella sua famiglia diretta si potesse dare il caso di qualche cedimento, soprattutto per quanto riguardava il principio fondamentale dell’Unità divina; siete veramente con me, la vostra fede è come la mia? Jaakov ci vuole insegnare che non si può mai essere sicuri sul proprio futuro, che la cosa non può essere lasciata al caso, che è necessaria, sempre ed ovunque, un’opera educativa, sia pure ancora in punto di morte. La risposta data dai figli, dai capi delle tribù, è finalmente una risposta rassicurante: nessun dubbio sulla fede in D-o e la fede nella Sua unità; tale fede viene espressa con il primo versetto dello Shemà che assume però, in questo frangente, un significato tutto speciale: “Shemà Israel – cioè ascolta o Israel nostro padre, dicono tutti i figli – Hashem Elokenu, Hashem Echad, Hashem è il nostro D-o, Hashem è uno”.
Questa è la risposta che si aspettava Jaakov dai suoi figli, una risposta chiara e sicura, senza l’aggiunta di qualche ma o se. Confortato da tale risposta Jaakov può finalmente prepararsi serenamente a riunirsi ai suoi padri, non senza aver pronunciato un ringraziamento speciale ad Hashem: “Baruch Shem kevod machuto leolam vaed – Benedetto sia in eterno il Nome del Suo glorioso regno”.
Questa frase non la troviamo nel brano dello Shemà come è scritto nella Torà, ma in memoria dell’insegnamento del nonno Jaakov-Israel la diciamo, sia pure sottovoce, ogni volta che leggiamo lo Shemà, mattina e sera; soltanto Kippur pubblico e Chazan recitano questo verso a viva voce.
L’insegnamento è grandioso e fondamentale: beato il padre che può lasciare questo mondo con la certezza che i suoi figli seguiranno in pieno la strada della Torà; di più non possiamo chiedere, se non associarci al ringraziamento a D-o che ci ha dato questo conforto. Benedetto sia in eterno il Nome del Suo glorioso regno.
Alfredo Mordechai Rabello, giurista, Università Ebraica di Gerusalemme