Molti cieli, una sola terra: religioni e ambiente a confronto
Il vertice di Copenhagen si è da poco concluso, e l’eco delle polemiche suscitate in quella sede non si è ancora spenta. Pochi sono tuttavia al corrente del fatto che la conferenza internazionale sul global warming era stata preceduta, ai primi di novembre, da un incontro, meno clamoroso ma altrettanto significativo, su analoghe tematiche, tra i rappresentanti delle principali religioni. L’incontro si era svolto sotto gli auspici e su invito del Principe Filippo d’Inghilterra, nel castello di Windsor. Il Principe consorte, certamente più noto per le battute di caccia che per le sue iniziative ecologiche, fondò nel 1995 l’Alliance of Religions and Conservation (ARC) per sostenere iniziative ambientaliste fondate sui princìpi fondamentali delle diverse religioni ed è attraverso questa organizzazione, in concomitanza con la UNDP, ovvero il programma di sviluppo delle Nazioni Unite, che sponsorizzò ai primi di novembre un incontro fra duecento rappresentanti di diverse religioni. Furono tuttavia i rappresentanti delle 9 religioni più importanti ad impegnarsi in quell’occasione in misure concrete, volte a frenare gli esiti catastrofici del cambiamento climatico.
Le discussioni sul riscaldamento globale sono in genere confinate entro l’ambito di competenza di politici e scienziati. Eppure il potenziale impatto dei leader religiosi sulla sensibilizzazione della popolazione mondiale è straordinario. Basti pensare che circa l’85% della popolazione mondiale è affiliata a qualche forma di fede o di organizzazione religiosa; che le stesse organizzazioni religiose sono proprietarie di circa l’8% del territorio mondiale, controllano il 7% degli investimenti finanziari e sovrintendono a un’alta percentuale dei sistemi sanitari e dei programmi educativi del pianeta. Si calcola ad esempio che circa il 50% dei sistemi scolastici mondiali sia posto sotto l’egida di un qualche istituto religioso. Ma c’è di più: i sistemi religiosi godono solitamente di maggiore fiducia ed apprezzamento che non i governi; controllano reti informative e mediatiche di enorme estensione e, soprattutto, sono sempre stati e possono continuare ad essere fonti inestimabili di ispirazione e di speranza in tempi in cui le condizioni climatiche del nostro pianeta possono facilmente indurre alla disperazione. Come affermava a Windsor il rabbino Sinclair, le religioni possiedono la proprietà singolare di saper pensare oltre l’immediato ciclo economico-finanziario nei termini di un rinnovamento generazionale di lungo periodo.
Un’ennesima iniziativa intrisa di retorica e discussioni inconcludenti, dunque? Niente affatto. Per partecipare alla conferenza i rappresentanti delle religioni in questione dovevano presentare in anticipo concreti programmi di azione a lungo termine da realizzare nei prossimi anni. Fra le iniziative annunciate si annoverano gli 8 milioni e mezzo di alberi che verranno piantati in Tanzania, l’uso di energia solare per alimentare i templi taoisti, la stampa di 15 milioni di Corani e 75 milioni di Bibbie su carta ecologicamente riciclata, l’utilizzo di fonti di energia alternativa per sostenere i gurdwara Sikh, ovvero le mense che nutrono quotidianamente circa 30 milioni di persone sotto la soglia di povertà, in India ma anche all’estero; la protezione dei boschi sacri che costituiscono oggi il 5% del territorio forestale mondiale.
Tra i progetti a lungo termine, ad esempio, lo sceicco Ali Gomaa, Gran muftì d’Egitto e portavoce dell’organizzazione in fieri MACCA (Muslim Associations for Climate Change Action), ha annunciato il piano settennale che intende promuovere un sistema di etichettatura di prodotti commerciali contenente informazioni a sfondo ecologico, ed organizzare un “Hajj Verde” ovvero rendere ecologico, nel giro dei prossimi 10 anni, il pellegrinaggio alla Mecca, che notoriamente costituisce uno degli obblighi religiosi fondamentali per i mussulmani. La Macca propone anche l’adozione di energie alternative per l’alimentazione delle moschee ed infine la trasformazione di Medina – la seconda città più importante nel mondo islamico – in una città verde, fondata sull’uso di energia riciclabile.
Improvvisando parte del suo discorso, il segretario generale dell’Onu, Ban Ki-Moon, ha invitato i leader religiosi intervenuti alla conferenza di Windsor a colmare con la loro saggezza e il sostegno dei fedeli quel vuoto di volontà politica che mina invece le proposte dei governi. E’ soltanto attraverso un’azione combinata dei governi e della società civile, le cui comunità religiose costituiscono un nucleo tanto vitale quanto essenziale, che potrà verificarsi la necessaria trasformazione, secondo Ban Ki Moon. Su tali premesse, il Segretario dell’Onu ha incoraggiato i leader religiosi, in grado di raggiungere con più agilità e maggiore risonanza di chiunque altro anche le comunità abitanti nelle zone più remote del globo, a far sentire alta e chiara la propria voce.
La delegazione ebraica (composta di otto membri e compredente fra l’altro il Presidente della società energetica Arava, Yosef Israel Abramowitz, il rabbino Yedidya Sinclair, studioso di misticismo ed ecologista, il rabbino Zalman Schachter-Shalomi, fondatore del Jewish Renewal movement e creatore del talled variopinto con i colori dell’arcobaleno che egli stesso indossa e l’attivista Naomi Tsur, vicesindaco di Gerusalemme) ha lasciato la parola a Nigel Savage, ‘an Englishman in New York’, come egli stesso si è scherzosamente definito, richiamando le parole della nota canzone di Sting. Savage dirige Hazon, la principale organizzazione ambientalista della comunità ebraica americana ed è fondatore, assieme a Sinclair, della Campagna ebraica sul clima. Rievocando il ruolo di Mosè, quale ambientalista ante-litteram (non si era forse posto il problema di fonti di energia sostenibile quando si era trovato improvvisamente di fronte al roveto ardente che non si consumava mai, quando riciclò il suo bastone in un serpente o quando convinse gli ebrei ad intraprendere una gita nella natura incontaminata durata 40 anni?), Savage ha condito con classico humour inglese il proprio discorso. Egli non ha mancato di suggerire il ruolo fondamentale che l’osservanza universale dello shabbat arrecherebbe al decremento dell’inquinamento ambientale e al decongestionamento del traffico. Ma se l’applicazione diffusa dello shabbat o della shemitah (anno sabbatico con evidenti benefici immediati sulla rigenerazione del suolo) appaiono progetti poco realistici, altre proposte più concrete sono state presentate nella sede di Windsor per responsabilizzare la comunità ebraica: il consumo da parte degli ebrei osservanti di prodotti casher locali, piuttosto che di prodotti di remota provenienza; la riduzione del 50% nel consumo ebraico di carne e la trasformazione di Israele entro il 2015 in uno dei primi Paesi ad essere alimentato quasi esclusivamente da fonti di energia alternativa. Un’Israele potenziata dall’energia solare, una Gerusalemme verde sono le proposte ebraiche. Israele utilizza attualmente il carbone per il 70% delle proprie necessità. L’obiettivo consiste nell’incrementare dal 10 al 30% l’utilizzazione di energia solare in Israele nei prossimi 7 anni, diminuendo pertanto considerevolmente le emissioni di anidride carbonica.
Quanto al consumo di prodotti locali, Savage ha ricordato come già dal 2004 Hazon avesse lanciato il programma CSA (Community supported agriculture) che prevede il gemellaggio fra un’azienda agricola biologica ed una sinagoga affiliata. Il progetto consente di sostenere forme di produzione agricola rispettose dell’ambiente, grazie al corrispettivo potere d’acquisto di un’intera comunità ebraica. Nel giro di 4 anni le iniziali cinque CSA sono salite al numero di quaranta, gli ebrei coinvolti sono diventati ottomila, e hanno assicurato l’acquisto di circa 200 tonnellate di prodotti, 15 delle quali sono servite ad alimentare le persone più bisognose.
E’ attraverso piccoli passi – ha sostenuto Savage – che si può giungere ad una grande visione, secondo i principi più caratteristici della tradizione ebraica. E richiamando le parole di Moshe Haiim Luzzatto, che affermava di scrivere non per far conoscere ciò che non si sa, ma per ricordare ciò che si sa, Savage ha dichiarato che la sfida ambientale non riguarda l’apprendimento di quanto occorra fare in tali circostanze, bensì la necessità di mettere in pratica ciò di cui siamo già a conoscenza. Sappiamo bene – in sostanza – quali siano le conseguenze del nostro comportamento. Ora si tratta di agire per cambiare. Ed è per questo che occorre una visione di ampio respiro, da realizzare un passo alla volta. L’odierna situazione di degrado ambientale e le prospettive catastrofiche che si profilano all’orizzonte inducono facilmente alla disperazione. Ma gli ebrei, che storicamente hanno affrontato ogni sorta di tragedie, hanno cercato in ogni circostanza di migliorare le condizioni di esistenza, evitando di soccombere al disfattismo o di accettare comode giustificazioni per l’inattività. Si dice che il messia arriverà di Tisha be’Av, il giorno che commemora la distruzione del Tempio di Gerusalemme – ha ricordato Savage. E nel racconto hassidico sull’uomo smarrito in un tunnel, un compagno lo soccorre offrendogli una torcia capace di illuminare il cammino, pochi metri alla volta. Solo così egli potrà uscire dal tunnel, sebbene la torcia non consenta inizialmente di scorgerne la fine.
Se dunque i rappresentanti delle maggiori religioni si sono adoperati per trovare risposte concrete alle sfide ambientali, il servizio adibito al catering del castello di Windsor ha dovuto affrontare una sfida forse altrettanto seria. Come accontentare nel corso dei medesimi pasti le restrizioni alimentari di commensali così diversamente esigenti? Si sa che gli ebrei mangiano casher, che i musulmani non consumano alcol o carne che non sia halal, che i taoisti evitano le melanzane, l’aglio, le cipolle o i cereali, che gli indù sono vegetariani, e via dicendo. La capo chef, Sophie Douglas Bates, ha accettato comunque con entusiasmo la sfida, pur stentando a capacitarsi dell’impossibilità di usare burro o panna nel suo menù per il primo banchetto reale vegano nella storia di Windsor. Ciononostante, il rabbino Sinclair a Windsor dovette accontentarsi di mangiare frutta e qualche merendina portata da casa, in assenza di un mashgiach e non volendo peraltro utilizzare stoviglie di plastica avvolte in altri materiali sintetici, proprio ad un convegno contro l’inquinamento. Non era certo questo un problema per un convinto militante dei movimenti ambientalisti del calibro di Sinclair.
Annalisa Di Nola