Due visite a confronto

Non era realistico attendersi dalla visita di Benedetto XVI al Tempio Ebraico di Roma novità di portata storica e così infatti è stato, realizzandosi un incontro solenne ma interlocutorio, utile per il mantenimento e magari l’intensificazione dei regolari rapporti ormai in atto.
Sarebbe peraltro stato ingiusto pretendere che i protagonisti di questo incontro, come per il sequel di un film di successo, potessero superare la storicità dell’originale che vide,occorre dirlo con obbiettività e senza pregiudizio per le figure odierne, l’affiancarsi di due personaggi quali Papa Wojtyla ed il Rabbino Elio Toaff dotati di naturale capacità mediatica di “bucare il video”, come d’uso dire oggi.
I passi storici compiuti da Giovanni Paolo II verso l’ebraismo e verso Israele godono quindi della forza della primogenitura ed è pertanto inevitabile riferirsi ad essi o, volendo esplorare una seconda ipotesi, “trincerarsi” dietro ad essi in quanto inevitabilmente ormai avvenuti.
Poteva esserci un certo spazio nell’accelerare una risoluzione condivisa,se possibile, sulla vicenda dei silenzi di Papa Pacelli dinanzi al nazifascismo e sulla divulgazione del materiale ebraico presente nelle biblioteche e negli archivi vaticani ma non mi è parso di cogliere nel discorso di Papa Ratzinger aperture in questo senso segno,delle due l’una specialmente per la questione Pacelli,che il Vaticano non vuole o non può per sue dinamiche interne aderire a queste richieste ben esplicitate dal Presidente della Comunità di Roma, Riccardo Pacifici, nel suo discorso denso di concreti e fattivi riferimenti.
Guardando quindi senza enfasi e pregiudizio a simili incontri, vi è di positivo che pare ormai evidenziarsi chiaramente il confine del cosiddetto “dialogo possibile”: quello che può sfociare nel confronto culturale per il piacere di far cultura e conoscersi meglio e nella condivisione di comuni intenti da proporre alla società, senza pretese di andare oltre ove dal dialogo si passerebbe ad un’inaccettabile tentativo di “inglobamento”.
In questo senso le chiare parole espresse, circa i limiti del dialogo, dallo stesso Ratzinger nella lettera-prefazione ad un saggio di Marcello Pera appaiono pragmaticamente fondate e perciò lo “scetticismo” verso il rapporto
ebraico-cattolico, per usare un termine a mio modesto giudizio impropriamente utilizzato in un articolo dall’Ambasciatore Lewy che lo attribuisce in particolare all’ebraismo ortodosso,oltre a non essere reato appare tranquillamente realistico e rispettoso delle altrui visioni basandosi, peraltro, sulla convinzione ebraica che non pretende di possedere esclusivo canale con il Signore.
Insomma un rapporto tra amici che, proprio perchè tali, non può richiedere l’appiattimento dell’uno nei confronti dell’altro e non stonano pertanto,in questo contesto, le annotazioni critiche lette in questi giorni e che si inseriscono proprio all’interno del dialogo non potendo essere sacrificate sull’altare di un presunto “buonismo” che falserebbe i termini del rapporto stesso.
Un “dialogo possibile” che sarebbe opportuno, lo affermo da liberale aderente alla comunità ebraica italiana che è ortodossa, rafforzare anche verso le altre espressioni di fede ed ai non credenti per sviluppare ulteriormente quella società aperta nella quale la laicità della sfera pubblica non è nemica dell’espressione religiosa,intesa nelle sue varie declinazioni rispettose delle comuni leggi dello Stato,ma anzi ne garantisce la libertà.

Gadi Polacco, Consigliere dell’Unione delle Comunità Ebraiche Italiane