Amos Oz, dottore contro il fanatismo
Da ieri pomeriggio l’Università per Stranieri di Siena ha un nuovo dottore. E che dottore: Amos Oz, neolaureato honoris causa in Scienze linguistiche e comunicazione interculturale. “Per la sua lunga e prestigiosa attività di intellettuale, saggista e romanziere – si legge nella motivazione – e per essere stato fra i primi a individuare la soluzione dei due stati nell’ambito del conflitto israelo-palestinese”. Al termine della cerimonia, che il rettore dell’ateneo ha definito “accademica ma non banale”, lo scrittore nativo di Gerusalemme è salito sul palco per una breve lectio magistralis. Davanti ad alcune autorità civili cittadine e ad una folta platea di studenti, Oz ha parlato di se stesso e, in parallelo, della società israeliana, “ovvero di sette milioni e mezzo di entusiasti profeti e messia che gridano senza essere ascoltati”. Tutti, forse, tranne questo distinto signore settantenne, che si alza ogni giorno alle cinque del mattino e passeggia su e giù per il deserto, nell’unico momento in cui è possibile trovarsi “soli con gli elementi”. E dopo quelle passeggiate con vista sul Mar Morto, inizia un altro dei riti quotidiani di Oz: sedere ad un tavolino e trascorrere ore ed ore guardando la vita scorrergli attorno. “Osservo le persone – racconta – e cerco di indovinare che lavoro fanno, cosa sognano, di cosa hanno paura”. Curiosità ed empatia, infatti, oltre ad una sottile ironia, sono “i valori” in cui crede. “Un uomo curioso è un uomo migliore di uno che non lo è”. Sta in questa frase gran parte della filosofia di Oz. “Sono un ladro – la butta in battuta – perchè cerco costantemente di rubare gesti ed espressioni da chi mi trovo di fronte. D’altronde, se non lo facessi non potrei certo definirmi un bravo scrittore”. Uno scrittore orgoglioso, in particolare, di scrivere nella lingua di cui ama ogni sfaccettatura: quell’ebraico che per lui produce il “suono melodioso di un pregiato strumento musicale”. Ma che talvolta utilizza per descrivere oggetti dal suono ben più aspro: bombe, missili, fucili. “La curiosità – spiega – è il mezzo per vedere anche attraverso gli occhi del nemico, per capire quale possa essere il suo sentimento dopo l’ennesima umiliazione subita o davanti ad una divisa dell’esercito israeliano”. Oz non è diventato improvvisamente filopalestinese, questo lo mette ben in chiaro, tuttavia ha imparato a vedere il conflitto “in una prospettiva tragica”. Fortunatamente con via d’uscita, come sottolinea con un efficace paragone già utilizzato in alcuni suoi scritti. “Immaginate una piccola casa che deve essere divisa in due piccolissimi appartamenti. Ecco, quella casa sono Israele e Palestina. La parte difficile è decidere a chi andrà il salotto, a chi la cucina e a chi il ripostiglio. Dividere è una soluzione dolorosa, però l’unica possibile”. E gli attuali inquilini della casa cosa ne pensano? “La pace è più vicina di quanto possa sembrare, la maggioranza degli israeliani e dei palestinesi sanno in cuor loro che prima o poi si dovrà per forza arrivare a due Stati”. Non sarà una luna di miele, avverte, né i due fratelli si abbracceranno commossi come in un libro di Dostojevski. Qualcuno piangerà dal dolore, qualcuno urlerà la sua rabbia, ma l’arte del compromesso, che è sinonimo di vita, porterà la pace. E venendo dal paese dei profeti, Oz vaticina: “Un giorno ci saranno un’ambasciata palestinese in Israele e un’ambasciata israeliana in Palestina, così vicine che la distanza tra le due sarà percorribile a piedi. Questo perché una sarà a Gerusalemme Ovest e l’altra a Gerusalemme Est”. Per far sì che ciò accada in tempi rapidi è bene evitare di fare un clamoroso errore: “La storia insegna che prima si firmano gli accordi di pace e poi ci sono gli avvicinamenti emotivi tra i popoli. Chi auspica che avvenga il contrario si sbaglia”. Fino a quel giorno l’Europa dovrà tenere un atteggiamento super partes ed occuparsi quasi esclusivamente di problemi pratici, “come le centinaia di migliaia di uomini e donne che vivono nei campi profughi”. In loco, invece, ci si dovrà occupare di sconfiggere il fanatismo, sia islamico che ebraico. Oz si sofferma sul suo coinvolgimento in Hadush (acronimo delle parole libertà, religione ed uguaglianza), movimento nato nel settembre scorso per contrastare le pretese, a suo modo di vedere “medievali”, degli ultraortodossi. “Non entrerò mai in politica, nel senso di sedermi alla Knesset e legiferare – precisa – ma cercherò di fare qualcosa perché la situazione non degeneri”. E nei giorni dedicati alla Memoria, lui che è figlio dell’ebraismo baltico e polacco di cui non resta quasi più traccia, parla del sentimento ambivalente, “un misto di piacere per la riscoperta delle mie radici e di rabbia per il passato”, che prova ogni volta che si trova in quei paesi. Ma l’ultimo pensiero è per Ahmadinejad, a cui dedica una battuta amara: “Chi dice che la Shoah non c’è mai stata, come l’Iran, è perché pensa che debba esserci in futuro”.
Adam Smulevich