Auschwitz-Birkenau, una mostra per non dimenticare Wiesel: “I giovani hanno bisogno della nostra memoria”
Ricostruire la realtà storica del campo di Auschwitz-Birkenau, divenuto simbolo dello sterminio nazista, ma spesso trascurato dall’esame storico. È questo l’obiettivo della mostra omonima presentata ieri nel complesso del Vittoriano, alla presenza dei sopravvissuti: Elie Wiesel, che fu deportato ad Auschwitz e lì perse la madre e la sorella, Sami Modiano, deportato da Rodi e uno dei pochi a farvi ritorno, Shlomo Venezia che ad Auschwitz fece parte del Sonderkommando, e di altre personalità istituzionali, fra gli altri: il presidente dell’Unione delle Comunità Ebraiche Renzo Gattegna, il presidente della Camera dei deputati Gianfranco Fini, il ministro per i beni e le attività culturali Sandro Bondi, il presidente del comitato di coordinamento per le celebrazioni in ricordo della Shoah Gianni Letta e il sindaco della Capitale Gianni Alemanno. “Per i morti ormai è troppo tardi, ma non lo è per vivi – ha affermato il Nobel per la pace Elie Wiesel nel suo discorso, spiegando come “la memoria è per loro e ricordare è l’unica cosa che ci può aiutare a vivere con dignità, onore e magari anche gioia. La memoria è speranza e solo attraverso di essa si può cercar di lavorare perché i più giovani non cadano preda dell’odio. In questo periodo difficile, turbolento, loro hanno bisogno della nostra memoria”. Gli ha fatto eco il sindaco di Roma, anche lui ha ribadito l’importanza della memoria, soprattutto per le nuove generazioni, Alemanno infatti ha affermato: “Questa mostra in questo momento è una grande occasione per sperimentare un percorso della memoria che ci deve portare ad aprire, nel più breve tempo possibile, il museo in ricordo della Shoah, l’unico in Italia dedicato al ricordo dello sterminio. E’ l’obiettivo che vogliamo perseguire con grande attenzione per i giovani che sono i veri destinatari della memoria e del ricordo. Chi è stato ad Auschwitz e Birkenau ha vissuto un’esperienza profonda che ha segnato la sua esperienza”. “Bisogna studiare la memoria – ha sottolineato il sindaco – non solo per conoscere il passato ma per dare un messaggio per il futuro di rispetto di ogni persona umana al fine di evitare che si ripetano altri orrori”.
La mostra coincide con il sessantacinquesimo anniversario della liberazione del campo e con il settantesimo dalla sua creazione e resterà visitabile dal 28 gennaio al 21 marzo 2010. Segue un percorso cronologico nel tentativo di ripercorrere l’evoluzione del sistema concentrazionario e della persecuzione degli ebrei fin dal 1933, focalizzando l’attenzione sull’evoluzione di Auschwitz, istituito su ordine di Himmler nel 1940 come campo di concentramento per oppositori politici polacchi e divenuto, come affermato da Marcello Pezzetti, principale storico della Shoah italiano che insieme a Bruno Vespa ha curato l’esposizione, “il luogo centrale nel progetto Hitleriano della soluzione finale del problema ebraico”. Continua Pezzetti: “Auschwitz fu il tentativo fallito, fondato su basi ideologiche e pseudoscientifiche, di eliminare il popolo ebraico. Auschwitz era destinato ad essere la tomba dell’ebraismo europeo”.
Uno degli aspetti più toccanti dell’esposizione, che ricostruisce la vita del campo attraverso fotografie, foto satellitari, ricostruzioni computerizzate e documenti burocratici in gran parte di provenienza tedesca, sono gli oggetti. La divisa a strisce dei prigionieri, un paio di occhiali, forbici, una valigia logora, una stella gialla strappata , una scarpa, il vestito bianco di una bambina deportata usato per la sua Mishmarà, i quadri di David Olere, ebreo polacco deportato dalla Francia e assegnato al Sonderkommando, hanno forse più delle parole la capacità di trasmettere allo spettatore emozione e significati.
Ma la mostra presenta anche documenti inediti come la relazione spedita da Primo Levi alla procura di Berlino, in cui racconta la sua esperienza nel campo per contribuire così ai processi successivi alla Shoah.
“Quando spieghiamo Auschwitz i ragazzi ci chiedono che fine hanno fatto quelli che lo hanno compiuto, purtroppo spieghiamo anche la fine che non hanno fatto, perché questa non è una mostra consolatoria” – ha aggiunto ancora Pezzetti, e la mostra infatti si conclude in una camera buia, con lo spettatore che viene accompagnato all’esterno da un canto, scoprirà che è la voce di Menghele, il criminale nazista fuggito a San Paolo e morto lì nel 1979 senza essere processato, che in una registrazione canta e si accompagna al piano.
Da questa distruzione tuttavia, secondo il presidente dell’Ucei Renzo Gattegna, l’Europa è rinata, fondando la convivenza sociale in opposizione alla ideologia nazista e questi principi son stati sanciti indelebilmente nella Costituzione italiana: “Auschwitz è uno spartiacque della nostra storia, da cui l’Europa dopo esser precipitata nell’abisso, è come rinata con principi e valori diversi, dopo Auschwitz il mondo non è più lo stesso”.
Daniele Ascarelli