Il Giorno della Memoria festeggiato dai poveri

Nel 2001, di fronte alle prime avvisaglie di quella che sarebbe diventata la più imponente “commemorazione pubblica” d’inizio millennio, mi ero chiesto se il paese fosse maturo per una decisione che sembrava calata dall’alto. Quel mio solitario grido d’allarme contro un certo “professionismo della Shoah” venne aspramente criticato, in nome del politically correct. Oggi che quel grido d’allarme è diventato opinione corrente, preferisco rimanere in a minority of one e pronunciare un cauto elogio al Giorno della Memoria. E siccome non ho paura di sembrare un passatista, dirò qui tutto il bene che merita il Giorno della Memoria festeggiato dai poveri, dai diseredati, dagli umili, dagli emarginati.
Non sono infatti difendibili le mostre faraoniche e costose, non sono difendibili i mille titoli che gli editori ogni anno ci propongono, quando ancora non è venuto in mente a nessuno di proporre una riedizione anastatica della prima edizione (1947) di Se questo è un uomo. Introvabile, eppure diversa – e per così dire più “vera” – della successiva edizione che circola ovunque. Non sono difendibili le letture pubbliche di Se questo è un uomo, con annesse “ricreazioni”. Passi l’uso della parola “ricreazione”, ma non l’idea assurda di offrire nell’intervallo ad un pubblico ben vestito caffè alla tedesca con gallette, zuppa con patate bollite e crauti.
Il mio, invece, è un elogio di classe. Viva il Giorno della Memoria proletario! Viva il 27 gennaio che si celebra nelle scuole di periferia, negli Istituti tecnici e professionali, dove operano coraggiosi insegnanti di fronte a mille difficoltà. Volontari della Shoah, non professionisti. Loro sì hanno il diritto di parola e potrebbero spiegarci le affinità, ma anche le differenze, fra il razzismo di ieri e quello di oggi.
Ora che esiste, il Giorno della Memoria va difeso, soprattutto da se stesso e da chi se ne serve per fini non sempre chiari. Le iniziative migliori si vedono nelle scuole, nelle circoscrizioni, nei teatri di quartiere: in talune realtà, spesso di provincia, si opera in faticosa solitudine, eppure si producono percorsi didattici di cui spesso non si ha nemmeno notizia o si scoprono storie straordinarie, ingiustamente dimenticate. Dove ci sono troppi mezzi a disposizione la sapienza non si nutre che di vuote parole, per esempio si assiste a una orribile trasformazione di Primo Levi in Vate – lui che detestava Profeti e Veggenti. Dove circola troppo denaro, è molto facile varcare la soglia della ripetitività e si perde di vista che la vera voce di Levi è quella del 1947. Dove si è costretti a fare con poche risorse scatta il meccanismo altrettanto sottile, ma virtuoso della conoscenza.

Alberto Cavaglion