Qui Parigi – Gli ebrei francesi incontrano le istituzioni politiche
Appuntamento ormai tradizionale nel calendario politico francese, si è svolta anche quest’anno la cena annuale organizzata dal Conseil Representatif des Institutions Juives (CRIF), l’organo che rappresenta i circa seicentomila ebrei transalpini. Oltre ottocento gli invitati al Pavillon d’Armenonville di Parigi, tra cui il Presidente della Repubblica Nicolas Sarkozy, alla sua seconda partecipazione. L’inquilino dell’Eliseo era accompagnato dalle più alte cariche dello Stato e da mezzo governo. Erano inoltre presenti diplomatici (compreso l’ambasciatore di Haiti), religiosi, giornalisti e alcuni leader di comunità ebraiche straniere. A rappresentare l’Italia c’era Claudia De Benedetti, vicepresidente dell’Unione delle Comunità Ebraiche Italiane.
Nel corso della cena si è parlato di Medio Oriente, dei rapporti tra Francia ed Israele e della lotta all’antisemitismo. Sono intervenuti alcuni sopravvissuti e anche il Primo Ministro Francois Fillon ha voluto portare il suo saluto.
Abbiamo deciso di riportare per interno il discorso di Richard Prasquier, presidente del CRIF. Le sue parole, infatti, sono un j’accuse molto forte contro il negazionismo e contro ogni forma di razzismo, ma anche una difesa appassionata dei valori alla base della Republique. Libertà, Uguaglianza e Fratellanza: i valori che hanno reso gli ebrei francesi i primi ebrei europei a essere considerati cittadini come tutti gli altri.
Discorso di Richard Prasquier
Signor Primo Ministro,
Signore e Signori,
Sono venticinque anni che il CRIF organizza queste cene, venticinque anni che voi e i vostri predecessori – ringrazio il Presidente della Repubblica per l’onore che ancora una volta ci fa con la sua presenza – venite a incontrare i rappresentanti della comunità ebraica. Venticinque anni che siamo orgogliosi, perchè le cene del CRIF sono un appuntamento molto sentito dalle istituzioni.
Libertà, uguaglianza, fratellanza.
Tre parole fondamentali per gli ebrei francesi. Scomparvero dal vocabolario negli anni cui lo Stato disonorò se stesso. Sono ricomparse nel momento in cui gli ebrei tornarono ad essere cittadini con pieni diritti.
Fratellanza
Quale altra parola utilizzare dopo il terremoto di Haiti? Dobbiamo inchinarci di fronte alle vittime umane. Si dice che siano morte 150000 persone, ma il macabro conteggio perderà di senso se noi non dedicheremo momenti di silenzio e meditazione, nelle nostre futili esistenze, agli individui pittosto che alle cifre, ai sepolti vivi, ai corpi martoriati e alle famiglie totalmente annientate. Bisogna dare il giusto onore ed il sostegno materiale necessario alle organizzazioni presenti sul posto. Sono fiero che ad Haiti ci siano anche ONG francesi e missioni umanitarie israeliane.
Libertà
Ho visto recentemente una foto di resistenti in procinto di essere fucilati a Mont Valérien: erano membri dell’Affiche Rouge. Stranieri, ebrei dell’Europa Centrale, spagnoli o armeni, immagino che abbiano gridato: “Viva la Francia” come hanno fatto migliaia di resistenti negli ultimi istanti della loro vita. Questi uomini avevano, come diceva De Gaulle, “una certa idea di Francia”. Sono morti per questo ideale, ed è grazie a loro che noi viviamo in un paese libero e democratico.
Gli ebrei hanno combattuto in prima linea per la difesa della patria. Due esempi su tutti: l’arruolamento massiccio degli ebrei stranieri nell’esercito francese al momento della dichiarazione di guerra ed il loro coinvolgimento nel movimento di Resistenza. Tra di essi ci sono alcuni membri della nostra comunità, come Georges Loinger, che dirà qualcosa nel corso della serata.
Non dobbiamo dimenticare che le vere democrazie sono una minoranza. La libertà non è che la fine dell’oppressione. La storia è piena di esempi di movimenti di liberazione che, una volta ottenuta la vittoria, hanno dimenticato cosa fosse la libertà. Mi vengono in mente le folle che acclamavano Khomeini pensando di liberarsi dell’oppressione del regime dello Scià e che adesso vivono da oltre trenta anni sotto un regime oscurantista e pronto a tutto pur di restare al potere. Ammiro il coraggio di quegli iraniani che lottano per la libertà a rischio della loro stessa vita.
Le democrazie talvolta dimenticano di avere dei nemici. I fanatici cercano di condizionare gli animi e i comportamenti con le loro ideologie: reclamano la libertà di minacciare le nostre libertà.
Gli estremisti sono una minoranza, ma possono avere un effetto devastante. Esercitano sulla maggioranza passiva un’intimidazione psicologica e fisica fortissima. Sono stati per tutto il secolo scorso gli affossatori della libertà. Così, al giorno di oggi, gli estremisti islamici sono un pericolo per gli ebrei, per i musulmani e per la nostra società. I movimenti islamici sono eterogenei, ma l’odio che provano per Israele e per il popolo ebraico è un elemento che riesce a mettere da parte le reciproche diffidenze.
Torquemada non è Giovanni Paolo II e Bin Laden non è l’emiro Abd el Kader. Saluto pertanto con affetto i rappresentanti dell’Islam francese, con i quali condividiamo gli stessi valori. Saluto anche i rappresentanti della Chiesa. Voglio assicurare al Cardinale Ricard che sappiamo su quali basi solide e amichevoli si poggia il dialogo ebraico-cristiano. Non siamo sempre d’accordo – ad esempio sulla questione degli archivi segreti di Pio XII – ma questo non fermerà il dialogo.
Libertà vuol dire anche libertà religiosa.
In Francia è garantita dalla laicità delle nostre istituzioni. La religione può sempre sollevare questioni di importanza etica, ma il dialogo deve sempre avvenire in modo laico. Non una laicità bellicosa, comunque, né una laicità condiscendente. Non possiamo impedire né obbligare alcun essere umano a professare una fede religiosa. Ciascuno deve avere il diritto di cambiare religione se lo vuole. Ma la libertà di cui ogni individuo dispone non può in alcun modo limitare la libertà altrui: la libertà collettiva non può esssere messa in pericolo dalle rivendicazioni di pochi.
Le religioni possono essere criticate, ma bisogna rispettare gli uomini che che vi credono.
La libertà di espressione è alla base della democrazia. Ma la libertà senza regole è la legge della giungla. Gli ebrei si sentono coinvolti quando si parla di limitazioni alla libertà di espressione. Sia perché sanno quanti vantaggi ci sono nel vivere in una società libera, sia perché sono stati diffamati più di ogni altro popolo nel corso della storia. Non ci dobbiamo dimenticare che il giornale antisemita di Drumont si chiamava “La parola libera”.
Non c’è libertà senza regole, senza memoria e senza verità.
Internet, che i regimi autoritari censurano ferocemente, rappresenta talvolta un moltiplicatore di razzismo e antisemitismo. Le esigenze della libertà d’espressione e della lotta contro l’odio devono necessariamente adattarsi alle tradizioni nazionali, soprattutto nei paesi in cui esiste una legislazione complessa come in Francia. Noi auspichiamo che il razzismo sulla Rete venga perseguito penalmente, che vengano rese note le condanne per i colpevoli, che si monitorino maggiormente questi fenomeni, che vengano coinvolte le associazioni antirazziste. Pensiamo che debbano essere prodisposti per i più giovani programmi che insegnino a navigare su Internet in modo appropriato.
Sei mesi fa un giornalista svedese ha scritto un articolo in cui si accusava l’esercito israeliano di aver prelevato gli organi di un giovane palestinese ucciso nel corso di una operazione militare a Gaza. Si è poi scoperto che in realtà la foto era quella di una banale autopsia.
Il giorno successivo, su alcuni siti si poteva leggere che quella era la prova che gli israeliani non solo uccidevano i palestinesi, ma che utilizzavano per loschi fini i loro organi. Le accuse di omicidio rituale avevano così trovato nuova linfa. Ma il capo redattore del giornale ha deciso di prendere le parti di difensore estremo della libertà di espressione e nessuno ha voluto comportarsi da censore. Il risultato è stato che, quando le squadre di salvataggio israeliane si sono materializzate ad Haiti, alcuni blog hanno sostenuto che fossero andate nei luoghi della tragedia per espiantare altri organi. Ecco come si costruisce ad arte una bugia: questa, come tante altre, che vede Israele come vittima. La libertà di espressione deve pertanto essere subordinata al rispetto della verità.
Signore e signori,
Se c’è un luogo in cui pronunciare la parola libertà risulta particolarmente forte, quel posto è Auschwitz. Ci sono stato pochi giorni fa, in occasione del sessantacinquesimo anniversario della liberazione del campo, insieme al Segretario di Stato, alla Signora Simone Veil e ad alcuni deportati, resistenti e partigiani della Memoria.
Due anni fa il Capo di Stato ha lanciato un appello affinchè fosse preservata la memoria dei bambini ebrei vittime della Shoah. In seguito a questo appello, numerose iniziative sono state organizzate nelle nostre scuole. La lotta per la Memoria ne è uscita fortemente rinforzata. Sig. Primo Ministro, le chiedo di portare al Presidente della Repubblica i nostri ringraziamenti.
Noi dobbiamo proteggere i sopravvissuti, che i negazionisti cercano di umiliare mettendo la loro parola in dubbio, e dobbiamo ricordare le vittime, a cui queste persone cercano di rubare persino la morte. Il negazionismo non ha niente a che fare con la libertà di espressione. Non è un’opinione, ma è una giustificazione allo sterminio, un appello per una nuova Shoah.
I miserabili che fanno del negazionismo una fonte di lucro non sono degli storici, ma degli antisemiti.
Ai giorni nostri il negazionismo ha molteplici varianti. Versioni ipocritamente universaliste, come quella secondo la quale bisogna denunciare con la stessa intensità tutti i crimini commessi contro i civili. Ad esempio c’è chi dice che i palestinesi stiano subendo un genocidio paragonabile alla Shoah oppure chi sostiene che i sionisti siano i primi responsabili della Shoah, che avrebbe moralmente giustificato la confisca delle terre proprietà degli arabi. E chi sostiene invece che la Shoah sia avvenuta, ma che sia stata tutto sommato meritata e che i nazisti non abbiano sfortunatamente portato a termine il lavoro. Sono opinioni diffuse, e sempre più si cerca di usare la Shoah come un’arma contro Israele e contro gli ebrei.
I sopravvissuti sostengono che i crimini compiuti dai nazisti non sono raccontati in tutta la loro atrocità, ma avrebbero mai potuto immaginare che un giorno sarebbero stati negati o addirittura glorificati? Non è dunque difficile capire l’isolamento del popolo israeliano, minacciato della distruzione dal governo iraniano, che sostiene il negazionismo e che è pronto a rendersi responsabile di una nuova Shoah: questi uomini distorcono i valori del vero Islam.
Fortunatamente gli israeliani sanno che non tutti sono ciechi. La Francia è in prima fila tra i paesi che reagiscono con fermezza e che non si fanno incantare.
Libertà
La libertà nel suo significato di base è quella che viene negata ad alcuni nostri compatrioti tenuti come ostaggi all’estero: due giornalisti in Afghanistan, un cittadino in Mali, Clotilde Reiss in Iran e, beninteso, Gilad Shalit a Gaza. È il terzo anno di fila che parlo di Gilad Shalit in questa sala.
Uguaglianza
L’uguaglianza dei diritti è quella che la Francia rivoluzionaria fu la prima ad accordare agli ebrei, che diventarono cittadini come tutti gli altri, mettendo così fine a quattro secoli di continue espulsioni, umiliazioni e persecuzioni.
Gli ebrei diventarono parte integrante della Repubblica e lo restarono anche negli anni del caso Dreyfus. Questa fu la loro condizione fino alla vergogna di Vichy. Per fortuna la Repubblica ha disinfettato le ferite della storia, rendendo i drammi e i crimini commessi in quel periodo parte della Memoria comune.
La Francia, emancipando gli ebrei, ha mostrato di non preoccuparsi né delle origini etniche, né delle credenze religiose dei suoi cittadini, perché alla base del nostro paese c’è un contratto di società egualitaria e non un’appartenenza etnica mitizzata.
L’identità francese non è né qualcosa di scolpito in un menhir. D’altronde, anche il padre di Asterix era un ebreo di origini polacche.
Vorrei attirare la sua attenzione, Signor Primo Ministro, su una situazione che viene vissuta come una umiliazione da alcuni nostri concittadini e perfino dagli ebrei nati in Francia da padre o madre naturalizzati, a cui viene chiesto di dimostrare, con mezzi propri, che l’amministrazione non ha fatto un errore a concedere ai loro genitori la nazionalità francese.
Viene da chiedersi: gli ebrei sono ancora discriminati in Francia? No. Né sul posto di lavoro, né quando vogliono acquistare beni e servizi. Ci sono ancora dei problemi nella scuola pubblica, e riguardano soprattutto la kasheruth e alcune date di esami che cadono in concomitanza con le nostre festività. Ma gli ebrei non sono certo discriminati come i neri e i musulmani. Aggiungo che gli ebrei sono visceralmente ostili ad ogni forma di discriminazione.
La parità di diritti tra gli uomini e le donne è uno dei fondamenti della nostra società. Il burqa, dunque, è contrario ai valori della Repubblica, non solo perché si tratta di un’imposizione ma anche perché le relazioni umane avvengono guardando in faccia il proprio interlocutore.
Gli ebrei sono cittadini considerati uguali agli altri? Non sempre, perché l’antisemitismo è un sentimento ancora parzialmente diffuso. I nazisti non sono scomparsi del tutto. Nel giorno del sessantacinquesimo anniversario della liberazione di Auschwitz, circa trenta tombe del cimitero ebraico di Strasbourg Cronenburg sono state profanate. Il ministro dell’Interno ha annunciato di voler contrastare con forza il volto orrendo dell’antisemitismo. Ultimamente non sono state poche le tombe di musulmani e le moschee ad essere profanate, come domenica scorsa a Crépy. E lo stesso è successo ad alcune tombe di cattolici nel Tarn. Il Rabbino Capo di Strasburgo, che cito volentieri, ha detto: “Questo odio gratuito e sinistro verso i morti è un sentimento di disprezzo nei confronti dell’intera umanità. Chi si rende colpevole di queste azioni odia anche se stesso”.
Voglio ribadire quello che vado dicendo da tempo: la Francia non è un paese antisemita, ma in Francia è ancora diffuso un sentimento antisemita. Quelli che non escono mai dai loro castelli dorati rischiano di non farci caso. Ci sono ebrei che non se rendono conto ed ebrei che lo sperimentano sulla propria pelle. Un ragazzino di 13 anni, che frequenta una scuola pubblica, è stato picchiato fino a perdere conoscenza. Questo episodio va ad aggiungersi agli altri 830 episodi di antisemitismo verificatisi in Francia nel 2009, il doppio rispetto all’anno precedente. Tutti archiviati dal servizio di vigilanza della comunità ebraica, che ringrazio per la grande professionalità e per l’efficienza. Il loro lavoro viene portato avanti in stretta collaborazione con il ministero dell’Interno.
L’aggressione è stata preceduta da mesi di umiliazioni e di insulti quotidiani, non segnalati alle autorità competenti. Insulti come “Vuoi del gas?”, “Vuoi che accenda il forno?” e via dicendo.
Gli aggressori sono stati individuati, ma resta il fatto che lo studente dovrà lasciare la sua scuola e iscriversi, per motivi di sicurezza, a un istituto confessionale. Non è forse una discriminazione nei suoi confronti? Non è un attentato alla parità dei diritti? Quante aggressioni simili a questa, non riportate nelle nostre statistiche, si verificano in Francia? Qualcuno risponderà che bisogna parlare di imbecillità e non di antisemitismo, perché chi commette queste azioni non conosce generalmente il significato, ben più complesso, della parola antisemitismo. Ma chi ha detto che bisogna sfogliare le pagine di un dizionario per detestare gli ebrei? L’omicidio di Ilan Halimi non è stato esclusivamente un episodio di antisemitismo, ma ridimensionare quanto vi sia di antisemita in questo delitto sarebbe da irresponsabili. Noi ci auguriamo che il giudizio in appello del prossimo ottobre sia aperto al pubblico e siamo felici che oggi stesso sia stata fatta una proposta di legge che va in quella direzione.
Signore e Signori,
L’uguaglianza vale anche per le nazioni. Voglio riaffermare il nostro attaccamento al principio di uguaglianza anche tra Israele e le altre nazioni del mondo. Non è normale che Israele sia l’unico Stato ad essere escluso dalla zona geografica di cui fa parte. Non è normale che sia l’unico Stato ad essere vittima di campagne di boicottaggio illegali, tra l’altro sostenuto da alcuni partiti politici francesi. Non è infine normale che sia l’unico Stato al mondo a dover continuamente giustificare la sua esistenza.
Questi sono alcuni principi e valori condivisi all’interno del CRIF:
1) Il sostegno alla creazione di due Stati democratici e pluralisti. Uno stato del popolo palestinese e uno stato del popolo ebraico.
2) L’attaccamento indefettibile ai luoghi fondanti dell’identità ebraica, a partire da Gerusalemme, capitale di Israele, presente nella mente e nel cuore del popolo ebraico da 3000 anni.
3) La solidarietà verso Israele, esempio positivo di convivenza umana, progresso scientifico, culturale e democratico, eventuale rifugio per il popolo ebraico della diaspora.
4) Il desiderio di una pace che porti maggiori libertà civili e sviluppo economico nella regione.
5) L’inquietudine nel vedere che l’odio verso Israele si sviluppa senza suscitare reazione alcuna. Ecco un estratto di un sermone trasmesso dalla televisione palestinese venerdì 29 gennaio:
“Musulmani, gli ebrei sono gli ebrei. Anche quando i cani smetteranno di abbaiare, gli ebrei continueranno ad odiare i musulmani. Il profeta dice che bisogna combattere e uccidere gli ebrei fino a che la roccia e l’albero diranno essi stessi: musulmano, c’è un ebreo dietro di me, uccidilo!”.
6) Lo sbigottimento nel sentire che Israele sarebbe responsabile di tutto il Male, come se la fine del conflitto israelo – palestinese potesse portare automaticamente alla pace nel mondo. Non bisogna oltretutto dimenticare che sono i palestinesi a non volere riprendere il negoziato.
Signore e signori,
L’anno scorso avevo espresso la mia inquietudine per la conferenza di Ginevra, ribattezzata da molti Durban 2, che rischiava di trasformarsi, come la precedente, in un forum anti israeliano e antisemita. Grazie all’azione decisiva di molti paesi, tra cui la Francia, il documento conclusivo redatto dai delegati, pur non essendo completamente soddisfacente, non ha assecondato le intenzioni dei paesi più oltranzisti.
In questi giorni Israele si trova ad affrontare una operazione di delegittimazione molto forte, che si fa forte del rapporto Goldstone, il documento che accusa Israele di crimini bellici e di crimini contro l’umanità a Gaza. Le conseguenze potrebbero essere molto pesanti dal punto di vista del diritto internazionale, perché questo rapporto porta la firma dell’ONU. Di Hamas si parla solo tra le righe. Come previsto, invece, è solamente Israele ad essere messa sotto accusa. Spero che il giudice Goldstone abbia il sonno facile, perché si è comportato davvero in modo meschino.
Troverete nel dossier che vi sarà consegnato all’uscita un’analisi giuridica completa degli errori commessi nella stesura del testo. I lavori della commissione, composta da persone che si sono in gran parte espresse in modo ostile ancor prima di avere iniziato ad indagare, sono stati commissionati dall’Organizzazione della Conferenza Islamica, che ha grande potere all’interno del Consiglio dei Diritti dell’Uomo dell’Onu. Lasciatemi dire che questo Consiglio, che mette al primo posto tra i difensori dei diritti dell’uomo paesi come Iran, Libia e Cuba, è un’istituzione quantomeno curiosa. Le conclusioni del rapporto, poi, erano state rese note in anticipo e la raccolta delle testimonianza è avvenuta sotto la sorveglianza continua di militanti di Hamas. Anche le ONG israeliane più critiche nei confronti dell’intervento militare a Gaza si sono opposte alle conclusioni di Goldstone, il cui lavoro viene considerato approssimativo e di parte. Di fatto, il rapporto Goldstone impedisce giuridicamente a uno Stato di replicare ad un’aggressione commessa da un gruppo terrorista parastatale come Hamas: lascia così campo libero a tutte le guerre che vengono comunemente definite asimmetriche.
Vorrei concludere con qualche parola sul CRIF.
Il CRIF è la casa di tutti gli ebrei francesi. È un’istituzione, ma ancor prima è un luogo di confronto, un luogo identitario e di lotta. Un luogo dove è piacevole ritrovarsi, un luogo dove libertà, uguaglianza e fratellanza sono regole di vità.
Per entrare nel CRIF hanno poca importanza le origini, le convinzioni filosofiche o quelle politiche. È sufficiente far parte della comunità ebraica francese, avere l’intenzione di rendersi utili alla causa e rispettare la Repubblica. Spero che negli anni a venire il CRIF acquisti una sempre crescente importanza. Questo è un luogo di apertura perché lavoriamo per un grande denominatore comune. Non cerchiamo quello che ci divide ma quello che ci accomuna. È un luogo di estrema libertà, in cui ciascun individuo è rispettato.
Il CRIF è anche un tramite attraverso il quale comunicare con il mondo esterno. Rivendico il nostro diritto ad intervenire nei dibattiti che ci riguardano e a mettere in discussione tesi consolidate. Credo che sia fondamentale avere una voce forte e comune. Credo alla giustizia e non alla riservatezza. Stare in silenzio quando un processo sembra dimenticare o sminuire le motivazioni antisemite dell’accusa, non dire niente quando i supermercati, sotto pressione, tolgono dai loro scaffali prodotti kasher, non fare sentire la nostra voce quando il governo iraniano o quello libico parlano di libertà democratiche oppure cercano di fare eleggere nelle istituzioni internazionali un candidato impresentabile, vuol dire capitolare. Vi prometto che il CRIF non sarà mai né cieco, né muto.
Il CRIF non è né askenazita né sefardita, non è né di destra né di sinistra, non è né reazionario né rivoluzionario, non è né giacobino né girondino, non è né elitista né populista. È un’istituzione fiera di essere ebraica, repubblicana e francese. Voglio che ci siano quanti più dibattiti possibilie e che le idee vengano confrontate. Il CRIF è un forum, il nostro forum. Mi oppongo a tutti gli allarmisti che auspicano una ideologizzazione del CRIF, perché hanno come unico obiettivo quello di destabilizzarlo. Sono il garante dell’integrità del CRIF e intendo farla rispettare.
Il CRIF è un luogo di lotta. Noi siamo stati, e sempre saremo, dei combattenti contro l’antisemitismo. Mi sento di dire questo: il CRIF è il quartier generale della lotta contro l’antisemitismo, il razzismo, la xenofobia e tutte le forme di esclusione e discriminazione.
C’è chi mette in dubbio l’utilità di questo ente. Voglio dire a tutti coloro che si interrogano o dicono che nel passato avremmo potuto comportarci diversamente, che il CRIF è ancora lontano dall’essere perfetto. Sono consapevole che bisogna migliorarne il funzionamento. Ma è il polmone e il cuore della nostra comunità. È d’importanza vitale mantenere un’istituzione forte e attiva. Senza il CRIF ci sarebbero parcellizzazione, smembramento e balcanizzazione. Ed infine una comunità ridotta a pezzi. Vi voglio fare una confidenza: il CRIF è come la democrazia. È il peggiore dei sistemi ma è il migliore che abbiamo inventato.
Signore e Signori, vorrei terminare ricordando Albert Camus, nel cinquantesimo anniversario della sua morte. Camus voleva la fratellanza tra gli uomini e combatteva il fanatismo ideologico: La Peste è la più profonda allegoria dello sterminio ad essere mai stata scritta.
Albert Camus era anche un grande amico degli ebrei e dello Stato di Israele.
(Versione italiana di Adam Smulevich)