Il profondo significato dello Shabbat
Spesso si dimentica che Shabbat ha anche un valore politico. La parola viene dalla radice shavat che vuol dire “cessare”, “riposare”, “festeggiare” – che si tratti del lavoro di D-o, dell’uomo o degli animali (Gen 2,1-3; Es 20,8-11; Deut 5,12-15). Ma alcuni la mettono in relazione con la radice sh-v “rivolgere”, “far ritorno”, “invertire”, “sovvertire”; in questo caso non sarebbe sbagliato tradurre Shabbat con “rivoluzione”. E a buon diritto. Non solo perché è un ricordo, e dunque una ripresa dell’inizio, non solo perché attesta la liberazione dalla schiavitù, ma perché è l’irrompere del futuro nel presente, di un tempo altro nel tempo che sarebbe altrimenti sempre uguale. L’utopia non è, nella forma di vita ebraica, una chimera che scivola nel lontano passato o nel lontano futuro, ma è un presente che torna ogni Shabbat. E può essere vissuto, festeggiato, testimoniato.
Schiavitù vuol dire che un giorno è uguale all’altro – in una catena ininterrotta; rivoluzione vuol dire “interruzione”. Questa interruzione dello Shabbat è il “segno” dell’ebraismo, di cui dobbiamo essere grati e per cui ringraziamo.
Donatella Di Cesare, filosofa