Purim…

Si avvicina Purim e il momento è opportuno per ricordare una storia interessante. Rav Yehudà Minz era tra i più illustri rabbini ashkenaziti che arrivarono in Italia dalla Germania nella seconda metà del ‘400 per sfuggire alle persecuzioni. A Padova fondò una yeshivà prestigiosa. Nella sua famiglia e in quelle dei suoi autorevoli maestri, come anche nelle comunità italiane del nord, c’era l’uso a Purim di mascherarsi. Gli uomini si vestivano da donne e viceversa. Ma secondo la Torà (Devarim 22:5) è proibito alle donne indossare abiti maschili e agli uomini quelli femminili. Era permesso fare un’eccezione per Purim? In altri termini, la regola della Torà ha valore assoluto o dipende dallo spirito e dalle circostanze in cui si compie una determinata azione? Yehudà Minz rispose che a Purim si possono indossare gli abiti dell’altro sesso, è solo uno scherzo transitorio. Un grande come Moshe Isserles (il Rema) confermò il suo permesso, ma altri lo misero in discussione. La questione si trascinò a lungo. Due secoli dopo, a Venezia, rav Shemuel Aboab rifiutava le aperture di Minz. Piccolo episodio emblematico di come l’ebraismo affronti ma non risolva questioni di principio della sua tradizione.

Riccardo Di Segni, rabbino capo di Roma