Qui Venezia – Grossman dà il via alla rassegna Incroci di Civiltà
Al via la rassegna annuale Incroci di Civiltà, incontri internazionali di letteratura, un festival letterario promosso dal Comune di Venezia, assessorato alla Produzione Culturale e Università Ca’ Foscari, facoltà di Lingue e Letterature straniere, in partnership con importanti istituzioni culturali cittadine tra le quali l’Ateneo Veneto, la Fondazione Querini Stampalia e il Centro veneziano di studi ebraici internazionali.
Dopo il successo della scorsa edizione, con gli appuntamenti dedicati a scrittori come Salman Rushdie, Orhan Pamuk, Yves Bonnefoy e Javier Marìas, Incroci di Civiltà apre con un evento invernale in anteprima, l’incontro con David Grossman, uno dei più rappresentativi scrittori nell’ambito della letteratura ebraica contemporanea, sostenitore del dialogo come unica via possibile per la risoluzione pacifica del conflitto mediorientale.
Già un’ora prima dell’evento una folla di curiosi si è raccolta davanti alle porte del Teatro Goldoni di Venezia in attesa di poter entrare. Quando arriva infine l’ora fatidica i posti in platea e nei quattro ordini di palchi-galleria sono al completo per una capienza totale di quasi ottocento persone.
Subito dopo gli interventi d’apertura dell’assessore alla produzione culturale, Luana Zanella e del magnifico rettore dell’università Ca’Foscari di Venezia, Carlo Carraro, è entrato l’ospite d’onore della serata, David Grossman, accompagnato sul palco da Emanuela Trevisan Semi, docente di Lingua e Letteratura ebraica moderna all’Università Ca’Foscari di Venezia Antonio Gnoli, giornalista di Repubblica e scrittore a sua volta, conduttori di una conversazione con l’autore che ha tocca i temi del conflitto, della letteratura come filtro per interpretare la realtà e la storia, dell’essere umano e della precarietà delle prospettive future.
Un’incontro per raccontare l’ultimo libro di Grossman, A un cerbiatto somiglia il mio amore (Mondadori), con la lettura di un brano tratto dal libro in ebraico, ma anche l’occasione per interrogarsi sulla natura umana, su come si dovrebbe tentare di interpretare la realtà attraverso gli occhi del nemico, sempre più rarefatto e poco definito. “In Israele – secondo Grossman – è presente un sentimento diffuso d’ansia. L’ansia di non poter avere un futuro, che Israele non riesca a sopravvivere al conflitto e ci meravigliamo spesso di quanto in Europa si parli di piani per il 2040, quando noi valutiamo prevalentemente ciò che avviene nell’immediato senza la possibilità di una programmazione così a lungo termine.”
Grossman, incalzato dagli intervistatori in merito alla classe politica, ha proposto una riflessione sulla classe politica odierna, così poco propositiva e sempre più avvezza alle strumentalizzazioni: “I nostri leader per anni hanno manipolato e strumentalizzato la nostra ansia riguardante il futuro. Se vuoi essere eletto primo ministro in Israele, a oggi il metodo migliore è quello di alimentare le paure diffuse tra la popolazione. Nessun politico, eccetto forse Shimon Peres e per un breve periodo Yitzhak Rabin, ha mai avuto una visione atta a superare questo muro di paura e instabilità; Gershom Scholem diceva che tutto il sangue va sulla ferita e così è anche in questo caso. Tutte le nostre potenzialità, e sono tante, vengono impiegate per la difesa, mentre dovremmo tutti condividere una visione di pace affinché sia data, anche a noi israeliani, la possibilità di vivere come meritiamo, in pace”.
Si è poi parlato della Shoah, con un riferimento specifico a un altro libro dell’autore: Vedi alla Voce Amore, una storia che analizza la tragedia attraverso gli occhi di Momix, un bambino. Il protagonista viene a conoscenza della Shoah attraverso i racconti dei genitori e si immagina la bestia nazista come un mostro mitologico, abitante di un mondo lontano nel tempo e nello spazio, Eretz Sham. Ed è proprio su questi ultimi due concetti, lo spazio e il tempo, che si sofferma David analizzando come gli ebrei si pongano quando si parla di Shoah e di come l’approccio sia diversificato quando invece a farlo sono i non ebrei: “Quando gli ebrei, che parlino ebraico, yiddish, italiano, parlano della Shoah raccontano di ciò che è accaduto laggiù, in un luogo ben definito. Quando invece a parlarne sono i non ebrei, raccontano di quello che è accaduto allora, e c’è un enorme differenza tra i due approcci. Allora, indica un fatto ben localizzato nel tempo, ma passato, che non potrà ripresentarsi in futuro. Laggiù invece indica che parallelamente alla nostra vita presente, in un ipotetico luogo, persiste la possibilità che si ripresentino gli stessi presupposti del passato. A noi ebrei il compito di vigilare affinché ciò non accada nuovamente.”
Michael Calimani