Sulla scena – Grande teatro per il processo a Furtwangler

Uno spettacolo da non perdere. Per il tema, di grande fascino, per la bravura degli attori, per la eleganza della regia di Manuela Kustermann.
“Taking sides” al Teatro Vascello di Roma fino al 14 marzo, è tratto da un testo di Ronald Harwood (il drammaturgo sudafricano autore tra l’altro della sceneggiatura de Il Pianista) e racconta il processo al direttore d’orchestra Wilhelm Furtwangler, accusato alla fine della Seconda guerra mondiale di collaborazionismo con i nazisti.
Un’accusa mai provata completamente, tant’è vero che il mitico musicista, considerato tra i migliori del suo tempo, ne uscì assolto; ma che l’autore ripropone, in un gioco sottile di psicologie a confronto, quelle dell’accusatore, un rozzo ufficiale americano che disprezza la cultura e in particolar modo la musica classica (chiama Furtwangler il “capobanda”), ed è convinto che, al di là del suo genio, egli vada giudicato in quanto uomo qualunque; e quella del Maestro, altero, raffinato, consapevole del suo genio (meravigliosamente interpretato da Aberto Di Stasio) che invoca la spiritualità, la difesa dell’arte come gli unici parametri di giudizio nei suoi confronti.
E’ colpevole, Furtwangler? I testimoni in sua difesa, numerosissimi, sostengono di no; anzi egli ha contribuito a salvare la vita molti musicisti ebrei, e non è mai risultato iscritto al Partito nazista.
Ma il maggiore Arnold è convinto che in realtà il direttore fosse connivente, per mantenere la sua posizione, il suo successo, per non dar spazio a rivali più giovani e più disponibili. Anche il silenzio è colpevole, sostiene il Maggiore. “Perché non te ne sei andato dalla Germania quando Hitler ha preso il potere?” è la domanda che ossessivamente gli pone.
Dov’è il sottile confine fra innocenza e complicità? Ed è possibile che l’artista si mantenga autonomo dalla politica, come continua a ripetere il Maestro, e che suonare per il regime non significhi necessariamente esaltarlo, anzi, al contrario “una sola esecuzione di un grande capolavoro era la negazione dello spirito di Auschwitz e Buchenwald”?
Prendere posizione: taking sides, è questo che l’autore richiede agli spettatori, ed effettivamente chi assiste allo spettacolo si sente coinvolto nel giudizio, che non è assolutamente scontato. Tant’è vero che la incrollabile certezza di colpa del Maggiore Arnold (un Giuseppe Antignati completamente immedesimato nel ruolo) è messa in dubbio dai suoi stessi collaboratori, il giovane tenete Wills Antonio Grosso) , che pur essendo ebreo è affascinato da Furtwangler e lo difende fino in fondo, e la segretaria Tamara Sacks (Gaia Benassi), la tedesca “buona”, innamorata della musica e in reverente ammirazione per chi la impersona con tanta autorevolezza.
Non c’è mai un calo di ritmo, nella regia di Manuela Kustermann, che spesso si occupa di tematiche ebraiche (l’anno scorso ha messo in scena il monologo di Lia Levi “L’amore mio non può”, qualche anno fa lo spettacolo-omaggio a Herbert Pagani): perché questo interesse per l’ebraismo, lei che ebrea non è?
“Nasce dalla collaborazione con mio marito, Luigi Franzini, appassionato di cultura ebraica e studioso di ermeneutica biblica: è lui che spesso mi suggerisce dei testi o mi presenta degli autori, come è stato il caso di Lia Levi. E scopro che queste tematiche risuonano in me, perché sono tematiche universali”.

Viviana Kasam