Karol e Wanda: storia di una grande e scomoda amicizia

Il tono di voce della persona che risponde al telefono dopo appena uno squillo di attesa è quella di un uomo soddisfatto e consapevole di aver portato a termine un’operazione editoriale destinata a far parlare a lungo. Le prime considerazioni che l’interlocutore fa a proposito del suo ultimo lavoro sono eloquenti e lasciano presagire sviluppi futuri molto interessanti: “Questo è un libro che in alcuni ambienti troveranno piuttosto scomodo”. Parola di Giacomo Galeazzi, vaticanista del quotidiano La Stampa, che insieme al compagno di redazione Francesco Grignetti ha da poco finito di scrivere Karol e Wanda (ed. Sperling & Kupfer), volume che racconta dettagli inediti sulla profonda, e ai più totalmente sconosciuta, amicizia che per oltre 50 anni ha legato papa Wojtyla a Wanda Poltawska, sua psicologa, amica e confidente dai tempi in cui si conobbero nella Cracovia semidistrutta del dopoguerra. Lui a quel tempo era un giovane sacerdote che a breve sarebbe diventato vescovo, lei invece una studentessa universitaria ex partigiana della Resistenza e reduce da una terribile esperienza di cavia umana nel campo nazista di Ravensbruck, dove era stata vittima degli esperimenti del medico Karl Gebhardt, poi giudicato colpevole di crimini contro l’umanità e condannato a morte dal Tribunale di Norimberga. Un’esperienza tremenda che avrà delle conseguenza per tutta la sua vita. “Quei quattro anni passati a Ravensbruck – racconta Galeazzi, unico giornalista ad averla intervistata nel recente passato vincendo la sua ritrosia per la categoria – l’hanno segnata per sempre nel fisico e nella mente”. Una mano ad allontanare quell’angoscioso ricordo gliela darà proprio Wojtyla, “uomo di cui apprezzava la grande dolcezza”.
Karol e Wanda si piacquero ed entrarono in sintonia immediatamente. “La loro amicizia – spiega la firma del prestigioso giornale diretto da Mario Calabresi – era un qualcosa di veramente particolare, un rapporto di straordinaria intensità e fiducia. Lei era sempre vicina al suo amico Karol nei momenti più delicati”. Wanda ebbe un ruolo chiave in alcune decisioni di primaria importanza prese da Giovanni Paolo II nel corso del suo pontificato. “In particolare – sottolinea l’autore – in occasione dal polverone sollevatosi dopo lo scandalo dei preti pedofili e nella lotta al comunismo, di cui anche lei era una paladina”. A Wanda vennero addirittura affidate le chiavi dell‘appartamento vaticano di Wojtyla, a cui poteva accedere senza mediazioni di alcun tipo. Un trattamento riservato “a pochissime e fidate persone”. E nei concitati giorni successivi all’attentato di Alì Agca fu proprio lei a scoprire in quell’appartamento una microspia: qualcuno spiava le conversazioni del capo della cristianità con i potenti della terra. Con grande discrezione, decise così di far partire un’indagine per cercare di appurare se vi fossero state delle talpe nel servizio di sicurezza: i risultati di quell’indagine restano tuttora segreti. L’amica era accanto al papa anche nel giorno della sua morte, quel 2 aprile del 2005 in cui le campane della basilica di San Pietro suonarono a lutto. Eppure, nonostante la sua presenza accanto al pontefice morente sia un fatto ormai indiscutibile, di lei non risulta traccia negli atti ufficiali del Vaticano. Come mai? “Una donna laica che aveva un peso così rilevante nella vita e nelle decisioni di un papa, talvolta quanto e più degli ecclesiastici di Curia, è motivo di non pochi imbarazzi. La complicità intellettuale e l’influenza reciproca dei due sono un fatto che alcuni trovano decisamente scomodo”.
L’anno scorso Wanda ha reso pubbliche, in un libro andato in stampa inizialmente in Polonia e poi anche all’estero, alcune lettere del vasto carteggio epistolare intrattenuto con Wojtyla e alcuni aspetti privati della vita del pontefice. “Il suo – spiega Galeazzi – è un sasso nello stagno che ha spezzato il muro del silenzio e dell’ipocrisia eretto attorno a lei”. Non tutti hanno gradito l’uscita di questo denso volume di 600 pagine, edito dalla San Paolo – Polonia e dunque appoggiato da una parte considerevole del clero locale. Non è piaciuto, ad esempio, al cardinale Stanislao Dziwisz, uomo ombra di Wojtyla, che intervistato nel maggio scorso dallo stesso Galeazzi, ha rilasciato la seguente dichiarazione: “La signora Poltawska pretende una unicità di rapporto e un legame speciale che non sussistono nella realtà”. Secondo Dziwisz nel loro rapporto non ci sarebbe stato “nulla di strano o di particolare” perché Giovanni Paolo II “trattava tutte le persone allo stesso modo ma ciascuno di loro pensava di averlo solo per sé, di godere di un legame preferenziale”. E questo, insiste l’autorevole uomo di Chiesa, era il suo segreto: “Far sentire i tanti che lo avvicinavano come depositari di un rapporto speciale con lui. Sapeva farsi percepire come il papa di ognuno”. Ma Galeazzi non è d’accordo: “Basta leggere alcune di queste lettere per rendersi conto di quanto questa amicizia fosse unica. Quando le scriveva, il pontefice la chiamava con affetto dusia, che in polacco significa sorellina. È difficile pensare che avesse questo livello di confidenzialità con altri”. Solo una minima parte di quelle lettere (“ne ho tante da riempire una valigia” scrisse a suo tempo la Poltawska) sono state consegnate alle autorità ecclesiastiche incaricate di portare avanti il processo di beatificazione di Wojtyla. “E questo – conclude Galeazzi – ha irritato il Vaticano, abituato a entrare in possesso di tutte le prove documentali disponibili prima di proclamare qualcuno santo. Vista la grande confidenzialità di Karol e Wanda, si teme che da quel carteggio possano emergere opinioni personali del pontefice riguardanti questioni e uomini di Chiesa”.

Adam Smulevich