La grande sfida di essere plurali
Il Gruppo Martin Buber – Ebrei per la pace e il Centro ebraico Pitigliani hanno organizzato una giornata di studio a Roma il 21 marzo sul tema Pluralismo nella società e pluralità nell’ebraismo. E’ un argomento controverso, complesso, e molto rilevante per l’ebraismo, in Italia, in Europa, nel mondo. Quali i motivi ispiratori? Li condenso così. Con la nascita di Israele, l’identità ebraica ha assunto forme molteplici: quella politico nazionale in Israele, quella religiosa e quella di ebrei, soprattutto in Occidente, che tendono a integrarsi in società che si evolvono verso forme multiculturali. Gli ebrei partecipano alla vita civile e politica dei paesi in cui vivono e mantengono nello stesso tempo legami d’appartenenza con la storia ebraica, con la tradizione di fede, con la terra e con lo Stato di Israele. Anche in Italia abbiamo assistito alla “mutazione genetica” di un ebraismo che molti consideravano ormai laicizzato: la riscoperta, da parte di molti, del valore specifico della cultura ebraica e del ritorno alle tradizioni. Uno sguardo attento alla storia degli ebrei dovrebbe però indurre a concludere che anche l’ortodossia si è manifestata in forme articolate. Forme di pensiero e comportamenti monolitici, lontani dal confronto dialettico, sono estranei all’ebraismo. Vi è poi il problema del rapporto nuovo e, in alcuni casi, “organico” e pericolosamente distorto con la politica e con specifiche forze e partiti. Riusciremo a costruire una “democrazia plurale”? Al “pluralismo” tra le diverse comunità potrà corrispondere il rispetto per la “pluralità” delle identità in ciascuna comunità? La nozione di democrazia plurale presuppone la coerenza tra il rispetto richiesto da ogni comunità, soprattutto di minoranza, e il rispetto dovuto in seno a ogni comunità alle identità individuali. Si può infatti essere atei e clericali ritenendo che autorità religiose debbano stabilire i valori e le modalità di regolazione dei fatti di interesse pubblico. Analogamente si può essere credenti e laici, ritenendo che la dimensione della fede abbia un proprio ambito d’azione e che la società debba essere regolata sulla base di convenzioni che tengano conto delle diverse sensibilità. Il rispetto per la coscienza di ogni persona o comunità esige che un’idea o un credo non dominino gli altri nelle regole comuni della convivenza. Le questioni etiche non esulano dallo spazio del dibattito pubblico. Ciò vale in particolare in relazione a due questioni. L’attribuzione di poteri dei quali lo Stato è titolare a soggetti terzi, organi decentrati o soggetti privati che operano in forme sussidiarie rispetto a quelli pubblici (per esempio scuole, ospedali ed altre istituzioni assistenziali). Le questioni eticamente sensibili, quali malattia, interruzione di gravidanza, procreazione assistita, accanimento terapeutico, testamento biologico, eutanasia, diritti dei single e diritti degli omosessuali. Nel caso degli ebrei, a tali questioni se ne aggiungono altre quali la convivenza di posizioni diverse nei confronti delle varie forme di ebraismo; gli orientamenti delle comunità ebraiche verso Israele e il rapporto tra esso e la Diaspora, nonché verso gli schieramenti politici nazionali; la scelta di affrontare problemi attuali (matrimoni misti, conversioni) in una prospettiva “rigoristica” o come parte di un processo storico e culturale con cui misurarsi.
Giorgio Gomel, Gruppo Martin Buber – Ebrei per la pace, Pagine Ebraiche – aprile 2010