Qui Roma – Pluralismo e pluralità: quale futuro per l’ebraismo?
“Pluralismo nella società e pluralità nell’ebraismo”, questo è il titolo del convegno organizzato dal gruppo Martin Buber – ebrei per la pace – svoltosi domenica 21 marzo presso il centro ebraico italiano “G. e V. Pitigliani”. Nel corso dell’intera giornata di studio una molteplicità di voci si sono susseguite e hanno trovato pari cittadinanza confrontandosi l’una con l’altra intorno a temi quanto mai attuali. Multiculturalismo, identità, alterità, democrazia, laicità, pluralismo e pluralità sono stati il comun denominatore degli interventi dei vari relatori i quali hanno offerto un contributo e uno stimolo per una discussione vivace e diversificata.
L’analisi delle condizioni in cui versa l’Italia ha segnato l’avvio dell’intero dibattito. Il verificarsi di una profonda trasformazione sociale, frutto di una globalizzazione non solo economica ma anche culturale, ha dato vita a un caleidoscopio di etnie che si trovano a dover convivere l’una con l’altra, fianco a fianco. Anche l’ebraismo, da sempre minoranza, si trova a interrogarsi su quali siano le conseguenze di una tale mutazione e su come si possa far conciliare il mantenimento della propria identità con l’integrazione nella società in cui si vive. Da sempre la storia del popolo ebraico è segnata dal saper convivere, dal saper partecipare attivamente alla vita civile e politica del paese da cui si è accolti pur mantenendo una propria tradizione di fede e un forte legame alla Terra e allo Stato d’Israele. “L’ebraismo – riferisce Renzo Gattegna, presidente dell’Unione delle Comunità Ebraiche Italiane – rappresenta un esempio di integrazione per tutti gli altri popoli … siamo una comunità ben inserita anche se non abbiamo rinunciato alla nostra identità”. La collettività ebraica, che non ha mai perso di vista le proprie fonti e il senso profondo del proprio esistere, ha dato testimonianza – nel corso dei tempi – di una perspicace capacità di integrazione con le realtà circostanti.
L’esistenza di una molteplicità di culture e di etnie all’interno di uno stesso paese deve essere quindi vissuta come una forma di ricchezza. Il pluralismo è un fatto essenziale anche per la conoscenza di se stessi: senza la possibilità di relazionarsi all’altro la nostra identità rimane celata. Forme di pensiero e comportamenti che si chiudono in se, monolitici, totalizzanti e che negano ogni forma di dialogo rimangono assolutamente estranei all’ebraismo.
Da parte sua la società deve, però, essere in grado di offrire la possibilità alle diverse etnie di poter sopravvivere garantendo la laicità delle proprie istituzioni. “Una società o è laica o non è democratica”, sottolinea Sergio Lariccia, docente di diritto amministrativo.
L’idea di rispetto che anima da sempre l’ebraismo deve trovare però attuazione non solo nei confronti delle altre culture ma anche e soprattutto all’interno dei propri “confini”.
La seconda sessione del convegno ha dedicato, infatti, la propria attenzione alle problematiche relative a una progressiva e pericolosa diminuzione della pluralità nell’ebraismo e al conseguente allontanamento dalle comunità di tutti coloro che non si identificano in determinati modelli. L’intervento di Ugo Volli, semiologo e presidente di Lev Chadash, ha voluto porre l’accento proprio su tale aspetto. Il perimetro identitario comune, costruito soprattutto in base alla condivisione di uno stesso destino storico, rende possibile una molteplicità di pensieri che non si possono negare ne fondere ma solo far convivere. “Il pluralismo – dice Volli – è il riconoscere all’altro il valore delle sue scelte”. Si rende sempre più necessario, quindi, delineare uno spazio nuovo che possa accogliere un ebraismo “diverso” e all’interno del quale ogni individuo può scegliere dove collocarsi. Un tale indirizzo non mira a dissolvere le comunità ma vuole evitare un allontanamento da esse cercando di integrare e far convivere tra loro ogni diversa istanza.
Il futuro dell’ebraismo nel mondo dipende anche da come si sapranno gestire le pluralità e le mutazioni che compongono ogni comunità.
Una tale prospettiva si rende però possibile solo attraverso il dialogo, parola chiave a cui ogni altra rinvia. Ma il dialogo a cui si vuole far riferimento non è solo l’intreccio di discorsi pronunciati da individui la cui identità precede e anticipa l’incontro. È un dialogo che spinge a immergersi nella vita degli altri, cercandone il timbro spesso celato in un’aderenza ai comportamenti dettati dalla società i quali impediscono a ognuno di noi di manifestare la propria unicità.
Valentina Della Seta