La filosofia di Spinoza. Sefardismo, Marranesimo, Qabbalah
Per molti, Spinoza è un filosofo razionalista, ateo, materialista, rigoroso immanentista, negatore del libero arbitrio, dell’immortalità dell’anima, del finalismo, confutatore della Rivelazione, critico di tutte le religioni positive e innanzi tutto dell’ebraismo e del cristianesimo. Penso invece che Spinoza sia profondamente inserito nelle vicende della Diaspora sefardita, molto coinvolto nel dramma dei Marrani (che era ancora in pieno svolgimento ai suoi tempi, e che non si è ancora concluso ai nostri) e che il suo intento sia stato quello di insegnare la Torah ai goyim, ossia all’umanità. La Torah: dunque filosofia e teologia. In philosophos Spinoza ha scritto l’Etica, in theologos il Trattato teologico-politico.
Bento Spinoza nasce ad Amsterdam nel 1632, in una famiglia ebraica di origine portoghese. Nel 1597 il suo bisnonno Gabriel Alvares era stato condannato a morte dall’Inquisizione con l’accusa di “giudaizzare”; la pena venne poi commutata in un periodo di carcere e due anni di lavoro forzato ai remi di una galera. Nel 1639 Bento inizia a frequentare la scuola della Comunità, e continuerà a farlo fino al 1651. La sua è una vita ebraica ortodossa, divisa tra studio e preghiera. Frequenta quotidianamente la Sinagoga. Nel 1645 diventa bar miswah. Nel 1656 Bento viene allontanato dalla Comunità ebraica con un herem. Non sappiamo per quali ragioni. Spinoza scriverà una Apologia in spagnolo, che non ci è pervenuta. Non chiederà mai di essere riammesso, ma, pur essendo in contatto con numerosi “cristiani eterodossi” (mennoniti, collegianti, quaccheri) non aderirà a nessuna altra confessione religiosa.
Inizia a frequentare la scuola di Franciscus van den Enden, un ex gesuita, dove impara il latino. Il latino gli consentirà di leggere la filosofia scolastica e cartesiana, soprattutto, e di scrivere le sue opere. Per mantenersi lavora alla molatura delle lenti. Forse la prima opera che compone è il Tractatus de intellectus emendatione, seguita dalla Korte Verhandeling, il Breve trattato su Dio, l’uomo e la sua felicità, che ci è giunto solo in olandese. Inizia a riformulare more geometrico il Breve trattato e nasce così, la prima parte dell’Ethica. Nel 1670 viene pubblicato, anonimo, il Tractatus teologico-politicus. Nel 1673 gli viene offerta una cattedra, che lui rifiuta, all’Università di Heidelberg. Egli si informa invece sulla possibilità di ottenere asilo a Livorno. Nel 1677 muore a L’Aja. Nello stesso anno i suoi discepoli pubblicano gli Opera Posthuma in latino e nederlandese.
Moshè ben Maimon riporta una tradizione secondo la quale gli ebrei di Spagna erano degli esiliati di Gerusalemme, provenienti proprio dalla Città Santa.
A quando risale l’arrivo a Sefarad (il nome ebraico per indicare la Spagna) dei primi ebrei? Almeno al IV secolo, in quanto già il Sinodo di Elvira formula delle disposizioni relative ai rapporti tra cristiani ed ebrei. Sotto il regno dei Visigoti, dagli inizi del V agli inizi dell’VIII secolo, vennero promulgate le prime leggi antiebraiche, finché la conquista arabo-islamica del Paese nel 711 creò per gli ebrei nuove condizioni politiche, psicologiche, sociali.
Nel X secolo Cordova era divenuta un rinomato centro di studi e di cultura, come anche Toledo e Granada. Vi si sviluppò un’intensa attività intellettuale di mediazione con la cultura greca classica e con la cultura arabo-islamica. Grammatici, poeti, rabbini e cabbalisti diedero vita a un’epoca che è conosciuta sotto il nome di «età dell’oro». Vedono la luce in questo periodo Shelomo Ibn Gabirol (ca 1020-1058), Yehudah ha-Levi (ca 1075-1141), Moshè Ibn Ezra (?-1139), Mai¬monide (1135-1204). Gran parte di questa produzione poetica e teologico-filosofica viene scritta da¬gli ebrei in lingua araba. Non vi sono equivalenti nella storia degli uomini di una simile riuscita mediazione di tre culture e tre reli¬gioni: ebraismo, cristianesimo, islamismo.
Con la progressiva «riconquista» cattolica del Paese le cose iniziarono a cambiare, e nel 1391 si ebbe la prima grande ondata di conversioni forzate, con la creazione di decine di migliaia di «cristiani nuovi» o «conversos». La riconquista terminò nel 1492 con la presa di Granada, che costituiva l’ultimo baluardo islamico in Spagna .
I Gherushim costituiscono un capitolo importante, anzi il più importante, della storia del Marranesimo. Proprio l’esigenza di separare i nuovi cristiani dagli ebrei fu alla base del Gherush del 1492. Nel 1497 sarebbe dovuto avvenire il Gherush Portugal, che però non ci fu. Circa ventimila ebrei in attesa di imbarcarsi vennero condotti nelle chiese e battezzati. Proprio quest’anno ricorre inoltre il V Centenario dell’espulsione degli ebrei e dei marrani dal Regno di Napoli.
Le conseguenze del Gherush sono state molto vaste e ad esso sono legate sia la formulazione della Qabbalah luriana che l’esplosione del Sabbatianesimo , ossia del più importante movimento messianico della storia ebraica dopo il I secolo. Due filosofi, fra tutti, hanno riflettuto in modo particolare sul Gherush, il primo, e sul Gherush e il martirio dei marrani, il secondo. Sono Isaac Abravanel (1437-1508) e appunto Barukh Spinoza.
Abravanel ha redatto a Monopoli tra il 1496 e il 1498 una trilogia messianica , il secondo ha scritto il Trattato teologico-politico, che, come vedremo, potrebbe essere considerato come un vero e proprio manifesto per la liberazione dei marrani.
Riportiamo un passo del Trattato teologico-politico: «Quale peggior sventura si può immaginare, per uno Stato, del fatto che degli uomini onesti vengano mandati in esilio quasi fossero furfanti, solo perché hanno opinioni diverse e non le sanno dissimulare? Cosa può esservi – ribadisco – di più funesto del fatto che alcuni uomini vengano trattati come nemici, non a causa di un delitto o di un misfatto, ma solo perché sono di indole liberale, e che siano per questa colpa condotti a morte? Cosa di più pernicioso che il patibolo, terrore dei malviventi, diventi un bellissimo teatro ove offrire il più alto esempio di coraggio e di virtù, a sommo disonore della suprema maestà? Coloro che sanno di essere onesti non temono – diversamente dai malfattori – né la morte, né il supplizio: il loro animo non è infatti oppresso dal rimorso di un turpe delitto, ed essi considerano anzi un onore, piuttosto che un supplizio, morire per una giusta causa, e degno di gloria cadere per la libertà. Che esempio viene dato, quindi, con la morte di tali individui, la cui causa è ignorata dagli uomini deboli e senza ideali, odiata dai rivoltosi e amata dagli onesti? Certamente nessuno può trarre un esempio da quella morte, se non per imitarla, o – quanto meno – per ammirarla» (TTP, XX,13) .
Spinoza ha espresso in veste geometrica e in lingua latina una serie di insegnamenti della Torah, del Talmud e della Qabbalah. Che la storia della fortuna di Spinoza sia soprattutto la storia della sua sfortuna (come dice Pina Totaro) trova in questo la sua ragione. Spinoza inserisce nei termini della tradizione filosofico-teologica europea contenuti propri della tradizione ebraica. Ad esempio, “Theologia” viene riportato al significato originario di “Devar Ha-Shem”, Parola di D, “obedientia” è il termine che Spinoza sceglie per indicare l’osservanza delle miswot, i precetti. E’ un’indicazione metodologica che va sempre seguita leggendo le sue opere: ripensare in ebraico ciò che lui ha formulato in latino.
La straordinaria complessità della sua opera deriva dall’aver messo in contatto mondi che tra loro non comunicavano. Vorrei fare due esempi, il primo riguardante la Qabbalah, il secondo il Talmud.
Deus sive Natura. Questa formula è stata interpretata come espressione del naturalismo spinoziano, come se volesse dire: Dio non è altro che la Natura, solo la Natura è divina, non esiste niente di soprannaturale. Per cui Spinoza sarebbe un radicale negatore della trascendenza e assertore di una assoluta immanenza. Ora, Deus sive Natura è un detto cabbalistico, tradotto da Spinoza in latino. Una delle più importanti tecniche cabbalistiche è la Gematriyah, che consiste nello stabilire rapporti tra parole che hanno lo stesso valore numerico. Uno dei Nomi di D., Eloqim, ha valore numerico 86 come anche la parola ebraica Ha-Tèva\Natura. Si veda su questo un importante studio di Moshé Idel .
Nella Metafisica spinoziana solo D. è sostanza, sostanza infinita, che si esprime infinitamente in un’infinità di attributi, di cui noi ne conosciamo soltanto due: pensiero ed estensione. Niente di più lontano da una riduzione di D. a ciò che vediamo, tocchiamo o anche pensiamo.
Il Noachismo. Come potrebbe il Creatore dei cieli e della terra aver dimenticato l’intera umanità per dedicarsi solo a un piccolo popolo? Questa domanda nasce da una insufficiente conoscenza della Torah. Nella Torah il Santo, benedetto Egli sia, si ricorda dell’umanità molto prima che abbia inizio l’avventura di Abramo, il primo ad essere chiamato ivrì, e molto prima che abbia inizio l’avventura di Mosè e dei suoi discepoli, il popolo d’Israele. La Prima Alleanza è in effetti un’alleanza con Noè e i suoi discendenti, ossia con l’intera umanità.
«Quanto a me, ecco Io stabilisco la mia alleanza con voi e con la vostra discendenza dopo di voi» (Gn 9,9). Quali siano le condizioni di questa alleanza noachide, la Torah scritta però non lo dice. Per saperlo, occorre rivolgersi alla Torah orale: «I nostri dottori hanno detto che sette comandamenti sono stati imposti ai figli di Noè: il primo prescrive loro di istituire magistrati; gli altri sei proibiscono: 1) il sacrilegio; 2) il politeismo; 3) l’incesto; 4) l’omicidio; 5) il furto; 6) l’uso delle membra di un animale vivo» (Sanhedrin, 56 b). La legge di Noè è stata la legge di Adamo, di Noè, di Abramo, di Isacco, di Giacobbe, di tutti i loro discendenti e dello stesso Mosè prima della rivelazione del Sinai. Chiunque accetti i sette comandamenti e li osservi con cura avrà parte alla vita nel mondo a venire.
Ora, Spinoza parla dei 7 precetti noachidi in TTP,V,19 e cita le Leggi dei Re (11,8) di Maimonide. L’unico punto di dissenso riguarda il fatto se siano salvifici solo se considerati comandamenti divini profeticamente rivelati o se lo siano anche allorché siano considerati come un semplice dettato della ragione .
«Dopo che l’esperienza mi ebbe insegnato che tutte le cose che frequentemente si incontrano nella vita comune sono vane e futili […] decisi infine di ricercare se si desse qualcosa che fosse un bene vero e condivisibile, e dal quale soltanto, respinti tutti gli altri, l’animo fosse affetto; anzi se esistesse qualcosa grazie al quale, una volta scoperto e acquisito, godessi in eterno una gioia continua e suprema» . Questo è l’incipit del Trattato sull’emendazione dell’intelletto, che già nel titolo contiene un termine chiave della Qabbalah luriana: tiqqun (emendatio). Né ricchezza, né onore, né piacere costituiscono il bene supremo e anzi, dopo un’assidua meditazione, Spinoza giunge a considerarli mali certi. E’ un momento drammatico della sua esistenza: «Mi vedevo infatti versare in estremo pericolo e costretto a cercare con tutte le forze un rimedio, per quanto incerto; come un malato affetto da una malattia mortale…» . Dopo aver compreso che felicità e infelicità risiedono solo nella qualità dell’oggetto al quale l’amore ci lega, egli giunge alla conclusione che «l’amore verso una cosa eterna e infinita nutre l’animo di sola gioia ed è privo di ogni tristezza: questo si deve desiderare grandemente e cercare con tutte le forze» . Questo programma di vita trova il suo compimento nell’Etica, in particolare nella V parte.
L’Ethica ordine geometrico demonstrata è un itinerarium mentis in Deum, dall’immaginazione, alla ragione, all’intelletto. Noi immaginiamo di essere mortali, arriviamo a sapere e sperimentare di essere eterni. Siamo corpi e anime (corpi animati, anime incorporate) ; l’ immaginazione ci porta a credere che i nostri corpi e le nostre anime siano mortali, l’intelletto a sapere e sperimentare che i nostri corpi e le nostre anime\menti sono eterne. Dal tempo all’eternità, che è vita: Hayyim le-olam wa-ed, per sempre. Questa è la Torat Hayyim, la Torah di vita, che Spinoza espone in veste geometrica.
La voce della Torah era così nuova per l’Europa del XVII secolo che il progetto filosofico, religioso, politico di Spinoza è stato frainteso ed è fallito. L’Europa del XXI secolo è forse più disposta ad ascoltarla?.
Marco Morselli