Il laboratorio della riforma
Con quali strumenti si governano gli ebrei italiani? E perché oggi si interrogano e discutono di se e di come aggiornare gli istituti che regolano la loro vita comune? Interrogativi all’apparenza oziosi, o quantomeno riservati a un ridottissimo circolo di persone all’interno di una minoranza già piccola nei numeri. Che interesse può rivestire, sotto il profilo giornalistico, tutto ciò per il comune lettore? Al di là delle apparenze, il fermento che attraversa le istituzioni ebraiche riveste un interesse che va ben al di là dell’attenzione manifestata dagli addetti ai lavori. Perché intraprendere la strada difficile indicata dal mandato congressuale del 2006 che metteva l’accento sulla necessità di aggiornare gli statuti dell’ebraismo italiano dimostra innanzitutto come questa piccola realtà continui a essere un mondo molto diversificato anche nelle proprie identità culturali, storiche e geografiche. Perché dimostra che gli ebrei italiani non hanno perso il gusto di discutere e di confrontarsi. Perché dimostra che dopo duemila anni la più antica comunità della Diaspora non ha perso la voglia di progettare il futuro, di cercare risposte adeguate alle sfide dei tempi che ci attendono. Il tracciato dei tempi e dei modi della riforma, avverte il presidente dell’Unione delle Comunità Ebraiche Italiane Renzo Gattegna, resta ancora da definire. E sarà segnato tenendo sempre in vista la necessità di raggiungere senza fretta e senza forzature intese le più largamente condivise. Il lavoro fin qui svolto e ancora non concluso, fa presente il presidente della Commissione per la riforma Valerio Di Porto, al di là di ogni pospagineebraiche sibile interpretazione e variazione, costituisce un patrimonio di ragionamenti che potranno in ogni caso rivelarsi utili. “La riforma – commenta appena eletto alla presidenza dell’Assemblea rabbinica italiana il rabbino capo di Venezia Elia Richetti (nuovo vicepresidente è il rabbino capo di Bologna, Alberto Sermoneta e segretario il rabbino capo di Genova, Giuseppe Momigliano) – dovrà tenere certo conto dei rapporti numerici, ma anche della necessità di rispettare l’identità delle 21 comunità”. Una riforma, spiega su queste pagine il rabbino capo di Roma Riccardo Di Segni, è auspicabile solo a condizione che risponda davvero alle esigenze di equa rappresentatività, efficacia, equilibrio e rispetto dei ruoli. Affrontare il cambiamento, afferma il presidente della Comunità ebraica di Milano Leone Soued, è necessario per garantire governabilità ed efficacia. E dalle 21 città dove ha sede, talvolta da millenni, una comunità ebraica si moltiplicano le voci, si fanno strada nuove riflessioni. L’esigenza di capire, di discutere, di confrontarsi nel rispetto di tutte le opinioni, costituisce un fermento di dinamismo. E forse, una nuova volta, la minoranza ebraica rappresenta un laboratorio, un piccolo campione ricco di esperienze e di idee della società in cui viviamo. Consapevole delle proprie radici, ma fermamente rivolto all’avvenire.
g.v.
(da Pagine Ebraiche, aprile 2010)