Istantanee – Pesach all’ospedale Schneider
Pesach, poco prima del Seder, Ospedale Schneider, Petach Tiqvah: mio figlio viene ricoverato d’urgenza per un’appendicite acuta. Mio marito, uomo di poche parole, mi comunica col cellulare che lo stanno portando in camera operatoria, ma lui gli ha già fatto fare Pesach, pronunciando la formula della Haggadah :”Pesach, Mazah u-maror”.
Gli ospiti cominciano ad arrivare: stupiti di trovare solo me in casa, decidono all’unanimità che si può rispondere al telefono.
Il tempo passa, cominciamo la lettura della Haggadah, un po’ più distratti del solito.
Finalmente, il telefono squilla: risponde Etty, che, nel ruolo di vice-nonna adottato sui due piedi, ci dà la buona notizia: il ragazzo si sta risvegliando dall’anestesia. Sollievo generale e benedizioni del caso.
Il Seder procede senza interruzioni ulteriori.
L’indomani sera, mi precipito con un taxi all’ospedale. Se non fosse un ospedale, sarebbe un meraviglioso “regno dei bambini”: medici alla mano, infermiere sorridenti, giocattoli, colori gioiosi e, soprattutto, la capacità di dare la parola ai piccoli pazienti, di rispondere alle loro domande senza spazientirsi, di spiegare senza fretta, di curare con rispetto.
Padre e figlio sono in una stanza, divisa in due da una tenda; dall’altra parte, c’è una ragazzina araba, operata per una grave malformazione alla spina dorsale, con la madre.
“Um Meysam”, la madre della ragazzina, ha una veste lunga fino ai piedi, capo e collo coperti dall’Hijab. Ha sette figli a casa; ha lasciato tutto pronto in freezer, perché “Abu Ali”, suo marito, non saprebbe come sbrogliarsela ai fornelli e i figli – Allah li protegga!- hanno tutti buon appetito. Stavano proprio per sistemarsi benino, lei e “Abu Ali”, si erano costruiti la casa e progettavano persino un viaggio all’estero… poi, è nata Meysam: “Che ne sappiamo noi del volere di Allah ?!”. Meysam non può’ andare a scuola, la educa lei, a casa, con un libro in ebraico, per i giardini d’infanzia: Meysam fa un po’ fatica, ma, alla fine, capisce tutto.
I gemiti di Meysam ci interrompono; arriva a spron battuto un’infermiera etiope che potrebbe fare la fotomodella. “Aveva tanta paura dell’operazione! – le spiega la madre in ebraico – ma l’ho convinta: dopo, le ho detto, potrà mettersi anche lei le belle jallabie delle sorelle…Insomma, speriamo…: Allah è misericordioso!”
Mio figlio, invece, ha ripreso appetito e non è per niente soddisfatto della dieta liquida; sul sottofondo dei lamenti di Meysam, lui, zabar verace, fa sentire con recuperata energia la sua protesta. Arriva il medico, un russo falstaffiano, che ha l’aria di Mangiafuoco.
“Sono affamato!” protesta polemico il mio rampollo.
Inalberando fieramente il suo pancione, il medico sentenzia: “Un vero maschio è sempre affamato!” e …: “ha-chakham yavin” (“chi è in grado di capire, capirà”).
Adesso, è arrivata l’ora di dormire.
Mio marito prega in ebraico, “Um Meysam” prega in arabo; si coricheranno ognuno a fianco della propria progenie, separati da una sottile tenda tirata. E nessuno ci trova nulla da ridire.
Pesach in ospedale: l’uscita dalla schiavitù verso la libertà.
Marina Arbib