Giorgio Nissim e Gino Bartali: due eroi mai sufficientemente onorati

Da qualche anno a questa parte si è assistito a una vera e propria riscoperta dei meriti extrasportivi di Gino Bartali, epica figura del ciclismo povero e polveroso il cui straordinario eroismo permise a centinaia di ebrei in fuga di ottenere una nuova identità che avrebbe salvato loro la vita.
Il ruolo di primo piano da lui ricoperto nella rete clandestina che forniva assistenza e documenti falsi ai perseguitati del centro Italia meriterebbe, a detta di tanti, il pubblico riconoscimento dello Stato di Israele con un albero piantato in suo onore nel Giardino dei Giusti dello Yad Vashem.
Non a caso nella sua amata (e talvolta ingrata) Firenze è stato lanciato nello scorso autunno un appello che punta a raccogliere quante più testimonianze possibili per far sì che questo atto di giustizia venga finalmente compiuto.
Portare alla luce aspetti meno conosciuti della vita di Gino Bartali significa far rivivere nella memoria di ciascuno le vicende di tanti uomini coinvolti nella rete clandestina che anteposero la salvezza dei perseguitati ad ogni altra cosa. Tra cui numerosi membri del clero toscano, come il cardinale Elia Dalla Costa (vicentino di nascita ma fiorentino di adozione), il sacerdote Leto Casini e don Giulio Facibeni: per molti ebrei le porte aperte dei loro conventi e dei loro monasteri vollero dire l’unica possibilità di salvezza dai criminali nazifascisti e dai delatori disposti a venderli per una manciata di lire al nemico.
Tornare a parlare del Bartali antifascista e non solo dal Bartali corridore e rivale di Fausto Coppi significa ricordare e tributare i giusti onori anche a colui che fu il coordinatore e l’animatore di questa grande operazione di salvataggio: l’ebreo pisano Giorgio Nissim (nell’immagine in alto).
Coinvolto nelle attività del nucleo fiorentino della DELASEM (l’associazione ebraica nata per dare assistenza ai correligionari internati in Italia) da Raffaele Cantoni, Nissim si ritrovò di fatto a capo della sezione toscana dell’associazione in seguito agli arresti, nel novembre del 1943, di Cantoni e del rabbino Cassuto. Rimasto praticamente senza una guida, non si perse d’animo e cercò nuovi punti di appoggio per la rete: li trovò in particolare nei sacerdoti oblati di Lucca, città in cui decise di concentrare la sua attività. In movimento costante ovunque vi fosse bisogno del suo aiuto, più di una volta fu lui stesso ad accompagnare gli ebrei in fuga dall’Italia settentrionale fino alle case dei loro salvatori. Centinaia di persone sono sopravvissute grazie al suo eroismo.
Oltre al coraggio e alla profonda umanità, Nissim ha almeno un’altra caratteristica in comune con Bartali: il fatto di non aver mai voluto parlare (o di averlo fatto assai poco) della sua attività di soccorritore. Caratterialmente schivo, evitò qualsiasi riconoscimento ufficiale che ne potesse attestare il ruolo avuto nella salvezza di così tanti esseri umani. I meritati onori che non ricevette per sua volontà in vita, gli sono stati tributati soltanto dopo la morte.
Eroe silenzioso come il buon Ginettaccio, per conoscere qualcosa in più di questo personaggio chiave nella storia dell’ebraismo italiano si è dovuto attendere addirittura il 2005. Cioè quando la famiglia di Nissim ha autorizzato la pubblicazione di Memorie di un ebreo toscano (1938-48), diario a cura della storica Liliana Picciotto che ha permesso di approfondire maggiormente il funzionamento delle rete predisposta dalla DELASEM di cui persino i soggetti coinvolti non erano a piena conoscenza per motivi di sicurezza.

Adam Smulevich