Un albero anche per Ginettaccio

L’eroismo può avere tanti volti. Anche quello di un uomo dagli occhi tristi e dal naso spigoloso. Insomma il ritratto di Gino Bartali, toscano doc e campionissimo della bicicletta negli anni gloriosi del ciclismo. Gli anni delle rivalità genuine e delle infinite battaglie su strade disastrate e polverosi viottoli di campagna, ma anche gli anni della guerra e delle persecuzioni razziali. E fu proprio in quel contesto drammatico che l’eroe dal naso importante decise di dare tutto se stesso per salvare il popolo ebraico. La storia è nota, ma neanche troppo: Bartali partiva da Firenze con destinazione Assisi, quasi 400 chilometri tra andata e ritorno, non di rado percorsi nel giro di poche ore. Nella canna della bicicletta nascondeva documenti da falsificare che recapitava alle suore clarisse del monastero di San Quirico. Le religiose provvedevano a smistarli ad alcuni tipografi della zona, che li restituivano pronti per essere consegnati ai gruppi di ebrei in fuga ospitati nel monastero. Era questo il funzionamento della rete clandestina organizzata dal cardinale Dalla Costa, che vedeva eminenti personaggi del clero combattere in prima linea contro i crimini del nazifascismo.
Ginettaccio non agiva per interesse, ma per pura bontà di cuore. Racconta suo figlio Andrea: “Ha percorso quella tratta almeno 40 volte”. Lungo il tragitto incontrava molto spesso pattuglie di soldati tedeschi, che insospettiti dal suo frequente vagare per quei luoghi non esitavano a fermarlo. Ma Bartali era pur sempre il vincitore di un Tour de France. La scusa che percorreva quelle strade per allenarsi gli salvò più di una volta la vita, i tedeschi non smontarono mai suo veicolo e lui poté ogni volta portare a termine la missione affidatagli: circa 800 ebrei furono salvati in questo modo avventuroso.
Il campione di Ponte a Ema non parlava mai con nessuno di quello che era stato il suo ruolo nell’organizzazione. “Perchè mio padre non voleva farsi pubblicità sulle disgrazie altrui”, ricorda Andrea. Toscano chiacchierone, scelse la via del silenzio. Bartali ci ha lasciati nella primavera del 2000. Dalla sua morte in poi le onorificenze che gli sono state conferite hanno fatto luce su aspetti meno conosciuti di un mito, sportivo e non solo, del Novecento. Anche le istituzioni si sono mobilitate. Il 25 aprile del 2006 l’ex presidente della Repubblica Carlo Azeglio Ciampi ha consegnato alla moglie la Medaglia d’oro al valore civile per il “mirabile esempio di grande spirito di sacrificio e di umana solidarietà” del defunto marito. Il Comune di Firenze ha voluto piantare un albero in suo onore nel Giardino dei Giusti di via Trento.
E c’è un altro albero che meriterebbe di essere piantato. Dove? A Yad Vashem. Recentemente Sara Funaro aveva lanciato un appello sulle pagine del bimestrale Toscana Ebraica, chiamando a raccolta i testimoni di quella straordinaria prova di coraggio per far ottenere a Gino il massimo riconoscimento conferito dallo Stato d’Israele. Il tempo, per evidenti ragioni anagrafiche, stringe. L’appello viene riformulato su Pagine Ebraiche. Chi sa qualcosa, parli: c’è un eroe silenzioso che se lo merita.
E mentre il mondo ebraico prova a mobilitarsi per uno dei suoi salvatori, a Gino arriva lo schiaffone postumo della sua Firenze, dove nei mesi scorsi il museo a lui dedicato ha chiuso per problemi di gestione. Il Comune ha indetto una gara di appalto, ma tutto tace. E molti si chiedono come possa la città che si candida ad ospitare i Mondiali di ciclismo nel 2012 condannare il suo più grande campione all’oblio.

a.s. – Pagine Ebraiche, aprile 2010