Nadav e Avihu…

“I figli di Ahahron, Nadav e Avihu, presero ognuno il suo incensiere…e usci un fuoco da davanti all’Eterno e li divorò, e morirono davanti all’Eterno” (Vaiqrà 10:1-2). Una delle spiegazioni date alla morte tragica dei figli di Aharon è quella di essersi presentati ubriachi nel momento dell’offerta dell’incenso. Tuttavia, dal testo scritto della Torà non si evince questa motivazione esplicitamente se non per il fatto che qualche verso dopo ai sacerdoti viene comandato di non presentarsi ubriachi nell’espletamento delle funzioni sacre. Ma altre due indicazioni sono presenti nel testo:1. Presentarono un fuoco estraneo; 2. Fecero un atto non comandato. Come si collegano questi due indizi con il bere vino fino all’ubriacarsi? Un detto talmudico insegna che quando “entra il vino esce il segreto”; in effetti il vino, in dose eccessiva per alcuni ma anche minima per altri, abbatte le barriere esterne della personalità rivelando quelle più profonde e nascoste. Un insegnamento mistico afferma che quando queste barriere sono infrante, l’uomo ha più possibilità di recepire le saggezze superiori di quando è in piene facoltà mentali. Forse allora la vera intenzione e/o colpa di Nadav e Avihu è stata quella di voler “bruciare” le tappe, cercare di arrivare il più in fretta possibile ad un livello superiore di conoscenza dei segreti divini attraverso un mezzo estraneo (il vino) e non richiesto (i percorsi per la contemplazione sono altri). La Torà ci vuole dunque ricordare che le tappe non vanno bruciate ma superate una dopo l’altra, attraverso una giusta sequenza di passaggi che possono portarci al raggiungimento di un obiettivo.

Adolfo Locci, rabbino capo di Padova