Hackney: la Terra Promessa degli ebrei dello Yemen
Un piccolo appartamento nel quartiere londinese di Hackney: la famiglia di Yousef al-Zahari è intenta a pulire i pavimenti in preparazione per Pesach, l’annuale festa ebraica che commemora la fuga degli israeliti dalla schiavitù in Egitto.
Per gli ebrei di tutto il mondo, Pesach coincide con un periodo di celebrazione, riflessione spirituale e rinnovamento. Ma per la famiglia al-Zahari, arrivata in Gran Bretagna dallo Yemen tre anni fa, questa festa ha uno strato ulteriore di autenticità. Come gli israeliti, essi sanno molto bene cosa vuol dire fuggire dalla persecuzione.
“Un ebreo in Yemen non può fare niente”, dice il 24 enne padre di tre, mentre fa una pausa dalle pulizie per dare da mangiare a Rachel, la figlia più piccola. “Quando andavamo a comprare da mangiare dovevamo coprirci il capo con dei mantelli e vestire come i mussulmani. Se uscivamo come ebrei la gente ci tirava addosso sassi mentre gridava insulti. Ci chiamavano scimmie e non credenti in continuazione”.
Gli ebrei dello Yemen, in quanto circondati da alcune delle tribù mussulmane d’Arabia più socialmente conservatrici e ortodosse, hanno sempre vissuto un’esistenza precaria. Quando ci fu un pogrom nel 1949, la Gran Bretagna, gli Usa e Israele organizzarono segretamente l’evacuazione di quasi l’intera popolazione ebraica dello Yemen con aerei, l’Operazione Tappeto Magico.
In pochi mesi, 49 mila ebrei Yemeniti, molti dei quali non avevano nemmeno viaggiato su un’automobile prima d’allora, furono imbarcati su aerei, destinazione una nuova vita in Israele. Ma alcune delle più remote comunità restarono, rischiosamente attaccate ai villaggi dove i loro antenati avevano vissuto per più di 2500 anni. Nei primi anni del 2000, tra i 400 e i 600 ebrei vivevano ancora in Yemen.
Oggi gli ultimi ebrei indigeni della penisola arabica stanno disperatamente cercando di fuggire. Lo Yemen, il paese più povero del Medio Oriente, a fatica cerca di contenere una rivolta shiita nel Nord, un movimento secessionista nel Sud e la crescente influenza dei miliziani legati ad Al-Qaeda. Gli ebrei, che si trovano nel mezzo, sono attaccati da tutte le parti in lotta.
Negli ultimi cinque anni sono aumentati gli attacchi alle famiglie ebraiche. Tante sono state le donne rapite e costrette a convertirsi all’Islam, prominenti leader della Comunità sono stati assassinati e biglietti con scritte incitando gli ebrei a lasciare il paese sono stati attaccati sulle porte delle loro case.
Il governo Yemenita, che sta cercando di fermare la violenza, ha dato rifugio a 65 ebrei nella capitale, Sana’a, dopo che questi sono stati cacciati dalla tribù al-Houthi, una fazione Shia ribelle che combatte il governo dal loro territorio situato a Nord del paese. Altri 200 ebrei vivono ancora nelle città di Raida e Kharif, subito a Sud della zona d’influenza degli al-Houthi.
Quelli che sono riusciti a scappare hanno raggiunto Israele, gli Usa e la Gran Bretagna. Si pensa che sono almeno 49 le famiglie arrivate a Londra, dove sono state accolte dalla più numerosa comunità ultra-ortodossa del paese nella zona di Stamford Hill, nel quartiere di Hackney.
Shlomo Efraim, 29 anni, conosce molto bene la violenza che si è abbattuta contro gli ebrei dello Yemen. Nel 2003, la seconda moglie di suo padre (gli ebrei yemeniti, così come i loro vicini arabi, praticano ancora la poligamia) è stata rapita e costretta a convertirsi all’Islam. “L’anno dopo mia sorella è stata rapita” ci dice mentre suo figlio Bezalel, tre anni, sta a guardare. “Era uscita per andare a visitare una vicina quando fu rapita. Abbiamo cercato dappertutto fino a quando lo sceicco locale ci ha detto che era stata presa da una famiglia mussulmana. Allora siamo andati alla polizia per denunciare il fatto ma, invece di arrestare quella famiglia, ci hanno messo in prigione per una notte. L’unica domanda che ci ha fatto la polizia è perché non ci eravamo convertiti all’Islam”.
La famiglia Efraim viene da Raida e viveva vicino a Moshe Nahari, un illustre maestro, padre di nove bambini, ucciso da estremisti nel dicembre del 2008. Abdul Aziz al-Abdi, pilota dell’aviazione militare in pensione, gli aveva ripetutamente ordinato di convertirsi all’Islam e quando Nahari ha rifiutato è stato ucciso a colpi di pistola. Al-Abdi, condannato a morte, non è stato ancora giustiziato.
Essendo le donne della famiglia le più a rischio, Shlomo Efraim – grazie all’aiuto dei leader Haredi di Londra – riuscì a ottenere un visto per l’Argentina per le sue sorelle. Arrivate ad Heathrow per cambiare volo, queste hanno chiesto asilo politico alla Gran Bretagna, dove vivevano già dei loro parenti.
Le sorelle, che in Yemen giravano con il viso coperto, non avevano mai lasciato il loro villaggio prima d’allora.
Eli Low, membro della comunità Haredi di Stamford Hill, che ha passato gli ultimi 10 anni ad aiutare gli ebrei dello Yemen, ha ricevuto le sorelle Efraim ad Heathrow. “Quando abbiamo superato il cancello degli arrivi, ho incontrato un amico di famiglia”, ride ricordando la vicenda “non dimenticherò mai la sua faccia dopo aver visto me, un Ebreo Ortodosso, condurre un donna con l’abaya (abito Islamico) e le sue sorelle fuori dall’aeroporto. Avrà pensato che quella fosse la cosa più strana mai vista”.
Gli Efraim adesso vivono vicino a una famiglia proveniente dal Bangladesh e stanno lentamente imparando a vivere in una comunità dove ebrei e mussulmani vivono fianco a fianco.
Gli yemeniti arrivati in Gran Bretagna si sono inseriti velocemente nella comunità ultra-ortodossa di Stamford Hill anche perché questa pratica un ebraismo molto simile al loro. I bambini frequentano le locali scuole ebraiche e molte famiglie hanno adottato un gran numero di ragazze yemenite che adesso parlano arabo, ebraico, yiddish e inglese. Ma gli ebrei di Stamford Hill dicono che la Gran Bretagna non sta facendo abbastanza per aiutare gli ebrei rimasti a fuggire.
L’anno scorso, il governo americano ha dichiarato che qualsiasi ebreo yemenita desideroso di stabilirsi negli USA, avrebbe ricevuto automaticamente asilo.
Il dipartimento di stato ha anche organizzato un volo l’estate scorsa per 150 persone che volevano raggiungere le loro famiglie in America.
Si pensava che la Gran Bretagna avrebbe fatto qualcosa di simile.
Invece, ogni richiesta d’asilo è vagliata individualmente. Così uno di fratelli di Shlomo ha visto la sua richiesta rifiutata mentre i suoi genitori hanno impiegato 7 mesi per cercare di assicurarsi un visto per la Gran Bretagna.
Il deputato Laburista per Hackney Diane Abbott ha chiesto al governo di considerare rifugiati politici tutti gli ebrei che hanno lasciato lo Yemen, aventi parenti in Inghilterra. “Se queste persone perdono la vita per mano di miliziani estremisti arabi allora il governo britannico sarà accusato di non aver agito pur sapendo del pericolo” dice.
Forse, finalmente, il Governo sta cambiando posizione. In febbraio Ivan Lewis del Foreign Office ha visitato le famiglie ebraiche di Sana’a e Timothy Torlot, l’ambasciatore inglese in Yemen, ha incontrato, la settimana scorsa, quelle di Raida.
Lewis ha dichiarato all’Independent: “Stiamo discutendo con il presidente e il Governo dello Yemen la sicurezza della comunità ebraica e la possibilità di trasferire quelle famiglie che hanno parenti in Gran Bretagna. Speriamo di raggiungere un accordo nei prossimi 10 giorni”. Questa sarebbe una bella notizia per Rav Avrohom Goldman, assistente rabbino della sinagoga Yetev Lev, a pranzo insieme a Low a casa dei Badani.
Musa Basani, un uomo sui cinquanta, che non conosce la sua età con precisione, ha raccontato in arabo ai suoi ospiti l’arrivo nel suo villaggio degli uomini dell’ostile tribù al-Houthi dopo gli attacchi dell’11 Settembre: annunciavano che gli ebrei erano i prossimi della lista. “Hanno appiccato fuochi e sparato in aria”,dice “Ci hanno detto che saremmo stati uccisi con la spada di Maometto”. Usciti dalla casa dei Badani, Rabbi Goldman sospira: “Non stiamo chiedendo molto. Stiamo parlando di un piccolo gruppo di persone che verrebbe rapidamente assorbito e sostenuto dalla comunità ebraica qui. Gli americani hanno capito che gli ebrei yemeniti hanno disperatamente bisogno di un rifugio, perché la Gran Bretagna non fa lo stesso?”.
Jerome Taylor, The Independent
(versione italiana di Rocco Giansante)