Qui Ferrara – Dal pensiero filosofico alla Shoah

Densa l’agenda degli incontri nel terzo giorno della Festa del Libro ebraico in Italia, che si è svolta in questi giorni a Ferrara e chiuderà i battenti questa sera al termine di un Convegno sulla cultura rabbinica in Italia cui parteciperanno il rabbino capo di Roma, rav Riccardo Di Segni, il rabbino capo di Ferrara, Luciano Caro, il rav Roberto Della Rocca direttore del Dipartimento educazione e cultura dell’Unione delle Comunità Ebraiche Italiane, il rav Benedetto Carucci Viterbi, preside delle Scuole ebraiche di Roma e il professor Dario Calimani dell’Università Ca’ Foscari di Venezia.
La sala Agnelli delle biblioteca Ariostea ha aperto la mattinata ospitando il dibattito filosofico “Tra Atene e Gerusalemme (via Auschwitz)” patrocinato dalla Facoltà di Lettere e Filosofia dell’Università di Ferrara cui hanno partecipato il professor Mino Chamla della Scuola ebraica di Milano, la professoressa Irene Kajon dell’Università La Sapienza di Roma, la professoressa Orietta Ombrosi dell’Università di Bologna e il professor Giuliano Sansonetti dell’Università di Ferrara. A moderare l’incontro Massimo Giuliani dell’Università di Trento, che fa parte anche del Comitato scientifico del Meis. Il confronto fra i filosofi è partito dal confronto fra giudaismo e filosofia il cui rapporto è antichissimo e non sempre pacifico. Rifacendosi al pensiero di Salomon Munk, filosofo ebreo del XIX secolo che fu tra i primi a tradurre la Guida ai perplessi di Maimonide e che nel 1848 conia il termine di ‘filosofia ebraica’ Irene Kajon sostiene che il termine di filosofia ebraica vale solo per la filosofia medievale. La professoressa segue un lungo percorso che da Filone d’Alessandria iniziatore dell’intreccio fra filosofia e religione, intreccio che influenza i padri della Chiesa cattolica fino a Tommaso d’Aquino, passando per Spinoza che rifiuterà l’affiancamento fra filosofia e religione e Moses Mendelssohn secondo cui l’ebraismo non deve essere considerato una religione rivelata quanto una legge rivelata, giunge fino a Edmund Husserl e Hermann Cohen filosofo filosofo tedesco esponente del Neokantismo che ha vissuto fino al primo ventennio del’900.
Parte da dove si ferma quella della Kajon, la riflessione del professor Chamla che si concentra sul pensiero ebraico del primo trentennio del ‘Novecento, con la tragica censura della Shoah. Dopo la Shoah, dice Chamla, la riflessione spesso non è originalissima, si tenta di spiegare ciò che è accaduto, ma è un pensiero che non produce nulla di nuovo. Con l’intervento della professoressa Ombrosi si torna a concentrarsi sul confronto fra Gerusalemme e Atene, mentre la riflessione del professor Sansonetti si concentra su Emmanuel Levinas, pensatore di punta in Francia verso la metà del ‘900, che intraprende uno studio prolungato sulla Bibbia e sul Talmud, attraverso il quale evidenzierà le peculiarità dell’ebraismo, come la separazione tra uomo e Dio, il libero arbitrio, la capacità di cogliere il comando divino.
L’assolata giornata ferrarese è proseguita con i due incontri pomeridiani che si sono svolti nel ridotto del teatro Comunale.
Obiettivo puntato sulla Shoah in Italia nel primo incontro, che ha ospitato gli interventi di Simon Levis Sullam dell’Università di Oxford, la storica Liliana Picciotto, Valentina Pisanty dell’Università di Bergamo, Marcella Ravenna dell’Università di Ferrara e Antonella Salomoni dell’Università della Calabria.
E’ partita dall’intreccio fra la dimensione della Storia e della Memoria, intreccio che negli ultimi anni ha visto il prevalere della Memoria sulla Storia, la riflessione degli storici intervenuti, che hanno portato alcune preziose testimonianze frutto degli studi da loro compiuti, come alcuni aspetti organizzativi del campo di Fossoli (Liliana Picciotto), o alcuni risvolti inediti della Shoah in Unione Sovietica ( Antonella Salomoni) per arrivare agli aspetti psicologici della Shoah nelle menti dei carnefici, il loro tentativo di ‘umanizzazione’ della Shoah (Marcella Ravenna).
«Gli italiani riempivano Fossoli, i tedeschi lo svuotavano», ha detto Liliana Picciotto riassumendo i risultati di un suo lavoro che ha dato vita al libro ‘L’alba ci colse come un tradimento’, storia del campo di Fossoli nei mesi tragici fra il novembre 1943 e la fine della Guerra, che individua e denuncia le responsabilità italiane nella morte di tanti innocenti: “A scortare il treno per Auschwitz c’erano carabinieri – ha osservato la Picciotto – come erano italiane le forze dell’ordine che dal novembre 1943 alla fine della guerra hanno dato la caccia agli ebrei in tutte le città del Nord”.
A parlare del rapporto fra identità nazionale e identità ebraica tema scelto per il secondo incontro, sono stati invece Francesca Sofia dell’Università di Bologna, Mario Miegge dell’Università di Ferrara Gadi Luzzatto Voghera della Boston University di Padova e Roberto Finzi dell’Università di Bologna nel doppio ruolo di moderatore e di relatore.
Parte dall’opera di Moses Hess, ‘Rom und Jerusalem’, Roma e Gerusalemme. L’ultima questione nazionale, la riflessione della professoressa Francesca Sofia. Il libro primo scritto sionista a inserire la questione del nazionalismo ebraico nel contesto del nazionalismo europeo sostiene il ritorno degli ebrei nella Terra di Israele proponendo uno Stato socialista in cui gli ebrei si sarebbero ruralizzati attraverso un processo di “redenzione del suolo”.
“E’ lecito parlare di identità ebraica nel momento dell’Emancipazione?” si domanda invece Gadi Luzzatto Voghera? Lo storico ritiene che non si possa parlare di una sola identità ebraica (neppure per l’Italia) in assoluto nel corso di 3000 anni di storia, e tanto più in riferimento all’epoca dell’Emancipazione. “Al più – dice Luzzatto Voghera riprendendo una espressione usata da David Bidussa, possiamo parlare di ‘percorsi di identità’ costruiti nel tempo”.
“Che cosa cambia allora con l’emancipazione?” – Si domanda allora Luzzatto Voghera –
“Cambia che gli ebrei tornano protagonisti come singoli e come gruppo nella Storia e che ricominciano dopo secoli a scrivere la propria storia. Nasce una storiografia ebraica che diventa anche strumento di identità e mezzo per collegare la propria storia a quella della nuova nazione borghese”. Nel concludere il lungo e interessante dibattito, l’intervento del professor Miegge ha messo in collegamento la realtà ebraica ad un’altra particolare vicenda della società italiana che è l’esperienza dei valdesi, due minoranze piccole da un punto di vista numerico, ma che hanno fortissimi collegamenti internazionali.

Lucilla Efrati