Qui Milano – La rassegna cinematografica del Cdec. Non solo memoria, ma anche cultura contemporanea
È in corso in questi giorni e fino al 29 aprile, allo Spazio Oberdan, la terza edizione della rassegna “Nuovo cinema israeliano”, selezione dal Pitigliani Kolno’a Festival di Roma, organizzata dalla Fondazione Centro di documentazione ebraica contemporanea in collaborazione con la Cineteca italiana. Paola Mortara, responsabile dell’archivio fotografico del Cdec, racconta gli obiettivi e il successo di questa manifestazione, che offre al pubblico milanese una vasta gamma di film e documentari in lingua originale sottotitolati in italiano, spesso introdotti da ospiti ed esperti.
Dottoressa Mortara, come sono andate le prime giornate della rassegna?
Direi che possiamo essere molto soddisfatti, la risposta dal pubblico è ottima, soprattutto fra gli appassionati di cinema e gli abbonati allo Spazio Oberdan, cui teniamo particolarmente vista la nostra collaborazione che dura da diversi anni. La gente sta dimostrando di apprezzare la scelta dei film, così come il suono della lingua originale che, come abbiamo avuto modo di sperimentare, risulta particolarmente affascinante per gli spettatori. Piacciono anche gli interventi introduttivi, che aiutano a far capire il contesto in cui le pellicole sono nate e che vogliono raccontare.
Qual è la ragione per cui il Cdec decide di occuparsi di cinema?
L’idea di promuovere una rassegna del cinema nasce dall’esperienza della nostra cineteca, in cui raccogliamo tantissimo materiale, film, documentari, interviste. Il Cdec vuole essere conosciuto non solo per il suo impegno per la memoria della Shoah e della storia contemporanea del popolo ebraico, ma anche per quello di raccontare la vita degli ebrei e di Israele oggi. Il cinema in questa prospettiva rappresenta uno strumento importantissimo. Il Cdec si è speso molto per questa manifestazione. E ci tengo a citare il documentario The Green Dumpster Mystery (T. H. Yoffe, 50’ ), che racconta proprio in cosa consista il lavoro quotidiano di storici e archivisti, la ricerca dei documenti, l’identificazione delle fotografie, che è poi quello che facciamo noi al Cdec.
Qual è il filo conduttore dei film presentati?
Per la selezione delle pellicole abbiamo lavorato in collaborazione con la direzione artistica del Pitigliani Kolno’a Festival di Roma, ma siamo riusciti anche a proporre delle novità, come il documentario “A History of Israeli Cinema” (R. Nadjari 120’). La filmografia israeliana sta vivendo da alcuni anni una stagione particolarmente fortunata. Si differenzia dal passato perché non si limita a raccontare i grandi temi che caratterizzano la storia e la società israeliana, come la guerra, o la religione, ma si concentra sulle relazioni umane, mentre questi rimangono sullo sfondo. E allora si parla per esempio del rapporto col diverso che non è più solo l’arabo, ma è l’immigrato dall’Europa dell’Est, oppure, come nel film che ha aperto la rassegna “A matter of size” (S. Maymon, E. Tadmor, 90’), è rappresentato da un gruppo di ragazzi, emarginati perché obesi, che cercano affermazione nel sumo.
Rossella Tercatin