…dna
Martedì su questa pagina è apparso il sunto di una conversazione che ho tenuto al Centro Bibliografico dell’UCEI a Roma. Nella mia riflessione cercavo di individuare gli elementi essenziali del contesto in cui si è sviluppato l’ebraismo italiano nei tempi lunghi. Rilevavo la sorprendente persistenza di certe costanti geografiche, culturali, ideologiche: le divisioni nord-sud della penisola, la dialettica culturale e politica fra periodi di apertura pluralistica e periodi di chiusura settaria, l’armamentario di idee fisse con il quale (lasciando da parte gli esponenti del pensiero cattivo) gli esponenti del pensiero buono (Tacito, Dante, Carlo Cattaneo, Benedetto Croce) hanno contrassegnato l’ebreo come “esterno, alieno, altro”. Anche da parte ebraica hanno operato strategie e processi di lungo periodo, e uno di questi è la genetica delle popolazioni, recentemente rivalutata dagli studi sul genoma umano. Qui, nel reportage, è caduto un refuso: non è esatto che gli ebrei romani siano discendenti dagli ebrei ashkenaziti, ma è vero il contrario: gli ebrei romani stanno semmai all’origine degli ebrei ashkenaziti. L’antico trasferimento al nord a partire dagli insediamenti iniziali del sud e centro Italia (esemplificato dalla chiamata di Calonimo di Lucca da parte di Carlo il Calvo alla fine del primo millennio) ha infatti contribuito a generare il nucleo culturale ebraico di Ashkenaz attorno alla Valle del Reno, fra le odierne Francia e Germania. E partendo da qui, diversi secoli più tardi, nascevano le prime comunità della Polonia e della Lituania da cui sarebbero nati i molti milioni di ebrei che avrebbero formato il nuceo dominante dell’ebraismo europeo orientale e i loro discendenti nelle Americhe. Importanti costanti di DNA, anche se è sempre bene ricordare che è il DNA culturale, non solo quello bio-chimico, che in definitiva ha assicurato la permanenza dell’identità ebraica attraverso i millenni e attraverso i continenti.
Sergio Della Pergola, Università Ebraica di Gerusalemme