Comix – Brownsville di Neil Kleid e Jake Allen
Abbiamo già parlato di Neil Kleid in occasione della recensione del suo The Big Kahn. Kleid ha differenza delle precedenti generazioni di autori di origine ebraico-statunitense non ha diretto la sua creatività solo sul mondo pop-culture dei supereroi, ma ha scritto una serie di storie dove si ripercorre la storia ebraica negli USA.
È la cifra stilistica delle nuove generazioni di autori. Si ripercorre la propria identità e la propria storia attraverso il fumetto.
Brownsville tocca un argomento delicato che già Joe Kubert aveva affrontato nel suo “Un gangster ebreo”. Il fumetto scritto da Kleid risulta documentato e strutturato secondo un percorso storico che dagli anni venti racconta la storia dei gangster ebrei di New York, ovviamente la storia si mescola alla più blasonata e famosa mafia italiana.
Significativo questo passaggio:
padre: come ebrei noi viviamo secondo certi codici etici e morali
figlio: lo so papà
padre: gli ebrei lì fuori in strada vivono secondo altri codici, codici illegali. E questo è il mio dilemma. Tu puoi essere ciò che vuoi in America, un dottore, un uomo d’affari o perfino il sindaco. Ma questo è un mondo duro ora. Questi uomini… possono insegnarti a essere duro, come comportarti. Ma possono insegnarti tante altre cose, altri codici. Non voglio stare nella tua situazione, impara a essere duro, ma ricordati che ogni cosa ha un come, un quando e un prezzo.
Questo passaggio probabilmente centra il nodo culturale delle gruppi etnici che sono emigrati negli Stati Uniti. Etica, morale, illegalità si confrontano e determinano scelte che alla fine stravolgono la vita nella sua complessità.
Neil Kleid compie un lavoro molto interessante di focalizzazione sulla storia degli emigranti e i loro dilemmi, in questo modo contribuisce in modo significativo a quel lavoro di racconto storico iniziato da Will Eisner sulla storia dell’ebraismo statunitense.
A lui si affianca un ottimo disegnatore Jake Allen, che anche se alla prima lettura può sembrare grossolano, si rivela “furbo” nel disegno. Prima di tutto la pagina è costruita secondo una architettura che è figlia di Frank Miller e del suo “Batman il cavaliere oscuro”, e soprattutto scolpisce sul volto dei personaggi pesanti espressioni emotive, che spesso escono dalla pagina per aggredire l’emotività del lettore. Può anzi sembra che le teste siano sproporzionate rispetto al resto del corpo.
Un bel lavoro romanzo, da leggere e forse anche da studiare.
Andrea Grilli