Davar Acher – Testimoniare il genocidio

Ieri gli armeni in tutto il mondo hanno ricordato il novantacinquesimo anniversario del loro genocidio, quel Medz Yeghern (il Grande Male), che distrusse la metà del loro popolo e che i turchi si ostinano a non riconoscere, continuando anche a fare il possibile per cancellare ogni loro traccia (ogni chiesa, ogni monastero, ogni villaggio cristiano) nelle terre armene che occupano. Come ha scritto Elie Wiesel, nell’essenza del genocidio vi è l’atto finale di cancellare le sue tracce e di negare l’avvenuto. Ma pensate come ci sentiremmo noi se la Germania fosse stata guidata ininterrottamente da negazionisti e il mondo esitasse a prendere atto che semplicemente la Shoà c’è stata.
Io credo che faccia parte dei compiti storici dell’ebraismo testimoniare non solo della Shoà, ma anche degli altri genocidi, che nell’ultimo secolo non sono mancati, purtroppo; dagli armeni ai Tutsi, fino a quello ancora in corso nel Darfur. Allo stesso tempo penso che bisogna sempre ricordare l’unicità della Shoà, che in questo momento tende a essere negata, soprattutto da coloro che cercano di indebolire Israele (anche se tutti sappiamo che la legittimità dello Stato di Israele e le sue radici storiche sono ben precedenti alla Shoà). Che vi sia questa tendenza ad affogare la Shoà in una generica notte delle ingiustizie e delle stragi, per cui l’umanità sarebbe sempre stata crudele allo stesso modo e tanto varrebbe ricordare assieme indiani d’America, palestinesi, italiani dell’Istria eccetera eccetera, è sotto gli occhi di tutti. Anche in Italia spesso nel mondo cattolico e nelle schegge del vecchio comunismo questa tentazione è evidente e esplicita. Per capirne il senso politico, rimando a un importante articolo apparso sul Jerusalem Post mercoledì scorso e riportato dalla rassegna stampa di questo sito: “Genocide, universalism and the degradation of the memory” di Seth Frantzman.
Vi sono oggettivamente dei caratteri unici della Shoà, che vanno sottolineati: la sua dimensione transpolitica, sottratta al principio di razionalità, la sua radice teologico-apocalittica, il razzismo biologico. Che i nazisti sottraessero forze preziose durante la fase decisiva della guerra per deportare e uccidere gli ebrei; che continuassero a farlo anche quando la sconfitta era chiara e perfino dopo di essa, come intima anche il testamento di Hitler; che dessero la caccia con bestiale ferocia fino all’ultimo anziano inoffensivo; che mirassero in ogni modo alla degradazione fisica e morale dei deportati; che non si facessero frenare da posizioni politiche e religiose delle persone e dall’assimilazione, ma cacciassero anche gli ebrei occulti e per loro materialmente inoffensivi, ma pur sempre “razzialmente contaminanti”; che cercassero insomma non di neutralizzare nel loro territorio un nemico politico ma di eliminare da tutta la faccia della terra una contaminazione metafisica, è stato spesso notato. Per una ulteriore riflessione su questo punto rimando a un libro bello, anche se certamente discutibile di Emil Fackenheim appena tradotto in italiano: Tiqqun – Riparare il mondo (Edizioni Medusa).
Questo fa la differenza con gli altri crimini commessi dal nazismo: l’eliminazione degli avversari politici, dei “disadattati” come i Rom, di omosessuali e “malati di mente” era soggetta a un criminale ma anche a un “normale” calcolo politico che tiene conto dei mezzi e dei fini. Così è stato per il tentativo turco di distruggere il popolo armeno come entità politica autocosciente (non a caso hanno incominciato dagli intellettuali e dai leader comunitari), non di estirpare ogni goccia di sangue armeno (avrebbero dovuto sterminare buona parte del popolo turco stesso, che nella sua maggioranza ha discendenze armene, curde, greche ecc.)
L’unicità della Shoà rispetto agli altri genocidi è la stessa unicità dell’odio attuale per Israele. Anche qui, fra i bruciatori di bandiere e fra i terroristi veri e propri agisce un oscuro carico teologico e metafisico magari inconsapevole, che produce una violenza e una virulenza, una volontà di distruzione totale, del tutto eccedente la normalità dei conflitti politici e delle guerre. Le persone buone e generose che odiano Israele oggi (ce n’è purtroppo) sono come i loro nonni, bravi e onesti borghesi o integri popolani che si fecero “volonterosi carnefici” del popolo ebraico pensando di fare del bene – aiutati allora come oggi da qualche ebreo odiatore di sé per ragioni altrettanto oscure e “demoniache”. Riflettere sull’unicità della Shoà rispetto ai genocidi ci apre una strada per capire più profondamente anche la dinamica della politica internazionale di oggi e la ragione per cui da Obama all’Europa e non solo nel mondo islamico, un piccolo Stato che ha un millesimo della popolazione mondiale e ancor meno territorio è visto come il più grande pericolo per la pace oggi.

Ugo Volli