superstizione…

La parashà letta questo Sabato istituisce il rito di Kippur iniziando con le parole acharè mot, “dopo la morte” dei figli di Aharon, è un discorso rivolto a dei sopravvissuti. Gli antichi romani schernivano quei culti in cui i fedeli pregavano per la propria sopravvivenza, per essere superstiti. Di qui il termine “superstizione” che ha poi assunto ulteriori connotati negativi. Fino a 50 anni fa, l’ebreo che si battezzava doveva abiurare la sua originaria judaicam superstitionem. Noi siamo un popolo di sopravvissuti, malgrado i Romani e la Chiesa e tutti gli altri, celebriamo il doveroso ricordo dei nostri martiri e preghiamo per la nostra sopravvivenza. Questo non vuol dire certo che la nostra religione sia una superstizione, ma il rischio di deriva superstiziosa da parte di singoli e di gruppi è sempre presente. Per fare un esempio recente, portare dei ragazzi in pellegrinaggio ad Auschwitz di Shabbat, mostrando poco rispetto per la propria tradizione (considerata solo una superstizione superata) e sostituendola con nuovi riti di memoria e sopravvivenza può essere una superstizione.

Riccardo Di Segni, rabbino capo Di Roma