La Giustizia israeliana che non fa notizia

Il caso di Yakov Teitel, l’estremista israeliano di origine americana – accusato dell’assassinio di due palestinesi, di contrabbando di esplosivi e della realizzazione o pianificazione di svariati attentati contro arabi, israeliani pacifisti e omosessuali – ha giustamente attirato l’attenzione dell’opinione pubblica, rievocando i sinistri ricordi di Ygal Amir (l’assassino di Rabin), Baruch Goldstein (autore, nel 1994, della strage di 29 arabi nella moschea di Hebron) e rav Kahane (fondatore del partito razzista Kach). E l’occasione è stata troppo ghiotta, per certa stampa nostrana, per non descrivere il malfattore come esponente di spicco, quantunque un po’ esagerato, del vasto movimento dei “coloni più intransigenti”, forti “della capacità di pressione scaturita da 43 anni d’occupazione” (il Venerdì di Repubblica del 19 marzo).
Certamente nessuna strumentalizzazione da parte degli ‘antipatizzanti’ di Israele ci farà retrocedere di un millimetro dalla più ferma condanna di qualsiasi gesto di violenza e prevaricazione compiuto da cittadini israeliani, verso chiunque e per qualsivoglia motivo. E una ripugnanza supplementare suscita, ai nostri occhi, il fatto che Teitel – così come, prima di lui, Amir e Goldstein – faccia sfoggio della kippà, simbolo dell’umile sottomissione dell’uomo alla volontà divina e quindi del rispetto assoluto di ogni vita umana. Ma questi personaggi, in Israele, sono arrestati e condannati a lunghissime pene detentive, in forza di sentenze emanate a seguito di regolari processi, con tutte le garanzie di uno stato di diritto, e col pieno e radicato consenso della totalità (vogliamo dire del 99,9 %?) dell’opinione pubblica israeliana. Niente pubbliche ammissioni di colpa, come a Cuba, né impiccagioni in piazza, come in Iran, né, soprattutto, entusiastiche acclamazioni da eroi della patria, come quelle recentemente tributate, in Libano e in Libia, a terroristi responsabili di avere massacrato bambini o di avere fatto esplodere aerei in volo. Una differenza non di poco conto, che però, come si dice, “non fa notizia”.

Francesco Lucrezi, storico