Qui Torino – Alex Licht, fare tanto e andare lontano

Mentre nasce la sede nazionale italiana dell’Agenzia Ebraica per Israele (Sochnut), dagli uffici centrali dell’istituto arriva a Torino un’altra lieta notizia: la premiazione della shlicha (letteralmente emissario) Alex Licht, arevà della comunità ebraica torinese. Fra circa centocinquanta ragazzi della sezione europea, Alex è stata scelta come miglior giovane shaliach del 2009, “un premio per le attività svolte, per il grande contributo e l’impegno dimostrati nei confronti della Sochnut”. Alex, assieme a tanti altri giovani fra i ventuno e i trent’anni, fa parte del progetto Areivim, “garanti”: ragazzi inviati nelle comunità di tutto il mondo dall’Agenzia Ebraica perché svolgano attività e programmi orientati al consolidamento della conoscenza e consapevolezza dell’identità ebraica, oltre a promuovere la familiarità con gli ideali sionisti, con Israele e il suo popolo. Come si legge nel sito dell’organizzazione, “il progetto affonda le sue radici nella convinzione che l’identificazione positiva può contribuire ad arginare l’assimilazione e garantire la continuità della comunità ebraica”.
Ma torniamo ad Alex, per cui arrivano parole di elogio dal presidente della Comunità di Torino, Tullio Levi “Un riconoscimento sicuramente meritato. Alex è un arevà straordinaria, per serietà e intelligenza. In questi due anni di lavoro ha ottenuto dei risultati ottimi, assumendosi la responsabilità di iniziative nuove, originali, accolte sempre in modo positivo. Non si può non apprezzare il suo instancabile impegno per la Comunità, dalla scuola alla casa di riposo. Sarebbe – continua Levi – auspicabile che molti giovani prendessero esempio da Alex, dal suo entusiasmo e dalla sua passione”.
Abbiamo dunque chiesto alla schlicha dell’anno di raccontarci qualcosa sul suo lavoro e non solo.
Come mai ha scelto di entrare nell’Agenzia Ebraica?
L’idea era, finito l’esercito, di fare qualcosa di autonomo, che mi aiutasse a confrontarmi con me stessa; così ho deciso di provare a entrare in questo progetto della Sochnut. Dopo un iter un po’ complicato con varie audizioni, sono stata presa e ho svolto un corso intensivo di tre settimane. Ogni giorno lavoravamo su religione e cultura ebraica, sulla lingua, sulla storia di Israele e così via. Abbiamo svolto lezioni sulle peculiarità delle diverse comunità nel mondo, così come sui differenti orientamenti religiosi. C’erano ore dedicate alle tecniche di insegnamento per bambini come per adulti.
Finito il corso, hai scelto una destinazione italiana e sei approdata alla comunità di Torino. Qual è stato il primo impatto?
Inizialmente ero un po’ disorientata: dovevo imparare una lingua nuova ed ero lontana da tutto ciò che conoscevo. In ogni caso, una delle prime preoccupazioni è stata capire le dinamiche della Comunità, in particolare quali fossero le cose necessarie, anche dal punto di vista logistico. In questo sono stata aiutata dal vicepresidente Edoardo Segre, in merito alle relazioni con la Sochnut, e dalla consigliera Sarah Kaminski, in merito ai problemi quotidiani.
Di fatto, di cosa di occupi all’interno della Comunità?
Il mio lavoro è intergenerazionale, dalla scuola alla casa di riposo. Ci sono attività dirette ai più piccoli, come Ivrit Be Keif (Ebraico con piacere) o il corso di arte; l’Ulpan per i genitori, ebrei e non, che vogliono imparare l’ebraico, così come un corso per i maestri della scuola. Nuovo è l’appuntamento mensile con “Identità israeliana moderna”, in cui raccontiamo la società israeliana e le sue continue evoluzioni. Con gli anziani della casa di riposo, abbiamo creato “ebrei nel mondo”, una sorta di viaggio nelle diverse realtà della diaspora, attraverso immagini, video e canzoni . O ancora “Caffè Ivrit”, un’ora dedicata a leggere giornali in ebraico e ascoltare musica israeliana. Senza dimenticare tutte le attività legate alle feste.
Dopo due anni così intensi, come vedi la comunità di Torino?
E’ un luogo dove la vita ebraica si percepisce intensamente. Sembra una cosa ovvia o scontata ma non lo è. Ci sono molte attività, tutti lavorano e gli ingranaggi girano. Se però mi chiedi qual è il mio più grande auspicio, vorrei vedere i giovani caricarsi di maggiori responsabilità. I giovani, per quanto possa suonare retorico, sono il futuro, sono coloro che porteranno dam hadash (sangue nuovo) al cuore della comunità. Devono essere più attivi nella scuola, nella casa di riposo; i più forti devono dare una mano ai più deboli.
Ad ottobre finirà la tua “avventura torinese”, che cosa porterai con te di questa esperienza?
Sicuramente la conoscenza di una lingua nuova e di un mondo comunitario ebraico decisamente peculiare. Inoltre in questi mesi ho imparato molto su me stessa, in particolare su come, contando sulle proprie forze, si possa fare tanto e andare decisamente lontano.

Daniel Reichel