Qui Firenze – Un incontro per ricordare e costruire un futuro migliore
Cosa possiamo fare per riparare il mondo dopo Auschwitz? Questa la domanda che ha fatto da filo conduttore a Perché ricordare: Un incontro sulla Memoria, meeting di approfondimento svoltosi nella Sala Comparetti della Facoltà di Lettere e Filosofia. Il fine dell’incontro era proprio quello: parlare di Memoria in un’ottica costruttiva e non meramente celebrativa. È stato un successo di contenuti e pubblico. La prof.ssa Ida Zatelli, organizzatrice dell’evento, è molto soddisfatta: “La risposta del pubblico in sala (tra cui i vertici della Comunità ebraica fiorentina) è stata più che positiva”. Il risultato non era scontato: un orario centrale (il via poco prima delle 16.00) in un giorno feriale e il bel sole quasi estivo che splendeva su Firenze potevano lasciare immaginare un esito differente. Anche la data era inusuale: perché dedicare così ampio spazio alla Memoria a fine aprile e con il gran caldo alle porte? Ugo Caffaz, direttore generale delle Politiche Formative, Beni e Attività Culturali della Regione Toscana, ribadisce un concetto a lui molto caro: “Perché la Memoria bisogna farla tutto l’anno e non solo il 27 gennaio”.
Chiamati a parlare erano docenti universitari e studiosi di ebraismo. Ma è significativo che il primo ad intervenire sia stato Daniel Vogelmann, direttore e anima della Casa Editrice Giuntina. La sua testimonianza ha un valore speciale, spiegano il prorettore vicario dell’Università di Firenze Michele Papa e la preside della Facoltà di Lettere Franca Pecchioli Daddi, “perché fa parte di quelle storie individuali che danno un volto e un nome alle vittime delle persecuzioni”. Daniel Vogelmann, infatti, è figlio del tipografo Shulim, uno degli oltre mille ebrei salvati dal Giusto Oskar Schindler. Della sua esperienza di vittima della Shoah (in cui perse tra l’altro moglie e figlia) il padre non aveva praticamente mai parlato. “Come la maggior parte dei reduci non riusciva a raccontare”, spiega Daniel. A salvarlo dalle camere a gas fu il fatto di essere un bravo tipografo, mestiere utile allo sforzo bellico tedesco, e la buona conoscenza della lingua polacca. Sopravvissuto per miracolo allo sterminio, nel dopoguerra la sua fortuna fu la possibilità di lavorare a tempo pieno per la Giuntina, “a cui si dedicò anima e cuore riuscendo in parte a rimuovere il pensiero di quella terribile esperienza”. Terminata la testimonianza di Vogelmann, è stato il momento dei relatori veri e propri. Ida Zatelli, docente di Lingua e Letteratura Ebraica, ha proposto ai presenti una riflessione sul tema biblico della sofferenza del giusto. Punto di partenza della sua riflessione è stato Giobbe, uomo pio e innocente per antonomasia, la cui sofferenza risulta un fatto apparentemente incomprensibile. Ed infatti “deve essere accettata come un mistero che non è possibile penetrare fino in fondo”. La prof.ssa ha poi introdotto un insegnamento base del Qohelet: la necessità di proiettarsi nel futuro nonostante tutto. E il passaggio ai giorni nostri è stato immediato: “È la stessa cosa che bisogna fare con la Memoria”. La sfida è quella: saper parlare alle nuove generazioni che spesso ignorano i fatti o non sono predisposte a recepire. Una sfida sempre più attuale, “visto che gli ultimi testimoni stanno scomparendo e gli studenti appaiono perlopiù disinteressati”. Lo studioso Alberto Cavaglion, torinese con cattedra a Firenze, si è invece occupato della corretta definizione del concetto di zona grigia introdotto per la prima volta da Primo Levi. “Un termine da più parti abusato”, sentenzia. Lo studioso cita “la singolare trasposizione del concetto, che viene adesso applicato alla storia della Resistenza per indicare coloro che dall’otto settembre fino alla fine delle ostilità non seppero decidere da che parte stare”. E ricorda che il grande lavoro di Primo Levi sulle zone intermedie tra il bene e il male emerge in particolare nel saggio I sommersi e i salvati del 1986, “testo che gli procurò non pochi nemici tra i reduci per la riflessione in cui Levi si chiede se a salvarsi dai nazisti siano stati i migliori oppure i peggiori”. Ha concluso l’incontro Massimo Giuliani, docente dell’Università di Trento, con un approfondimento sul tema forte del pomeriggio: come riparare il mondo dopo Auschwitz. “Emil Fackenheim ha provato ad indicare la direzione”, spiega Giuliani, che indica nel libro To Mend The World “il riconoscimento che alla radicalità del Male corrispose e si contrappose una radicale opposizione al Male stesso”. La resistenza assume dunque valore ontologico “perché ogni atto di resistenza al Male è possibile in quanto già attuato ai tempi della Shoah”. E il concetto di Tikkun Olam, la cui sfera semantica originaria è nell’etica pubblica, “diventa l’imperativo a migliorare la condizione umana attraverso l’impegno costruttivo per rimuovere mali nel mondo, gesto dopo gesto, nel vivere quotidiano”.
Adam Smulevich