Davar Acher – Quale amore
Si può amare qualcuno e cercare di costringerlo a fare il contrario di quel che vuole? Si può voler bene a qualcuno e ritenere che la visione del suo interesse, le sue scelte fondamentali sono sbagliate? Si può amare qualcuno contro di lui? Qualche volta si può, anzi si deve: nel caso di bambini, pazzi, malati gravi, tossicodipendenti. Ma se l’amato, o piuttosto il preteso amato è un popolo intero? Certo, nella nostra tradizione i profeti hanno fatto qualcosa del genere, ma rivendicando un’ispirazione divina, non perché pensavano di essere loro i migliori. Sempre nella nostra tradizione una frase di disprezzo per il popolo, probabilmente giustificata, è stata rimproverata in maniera durissima a Moshé, il più grande dei nostri eroi nazionali. E durante il seder di Pesach, quella macchina pedagogica della “nostra libertà” che è anche una sintesi singolare dell’identità ebraica e della sua autocoscienza, definiamo “malvagia” una domanda alla seconda persona plurale, che implica la sconnessione di chi domanda dal corpo del popolo.
Vediamo. J-Street dice di essere pro-Israel and pro-peace. Più pro-peace che pro-Israel, naturalmente; e pro-Israel solo con quel che loro stessi chiamano “tough love”, amore duro, che consiste nell’idea che è arrivato il momento di costringere con la forza Israele a scegliere secondo quel suo bene che esso ostinatamente ignora.
Anche J-com dice di voler difendere Israele, come no; ma prima di tutto vuol difenderlo da se stesso, dalle scelte sbagliate che peraltro ha democraticamente fatto col voto. La seconda frase del suo appello inizia così. “Ancora una volta l’esistenza di Israele è in pericolo. Il pericolo non proviene soltanto dalla minaccia di nemici esterni, ma dall’occupazione e dalla continua espansione delle colonie in Cisgiordania e nei quartieri arabi di Gerusalemme Est.” La terminologia (“colonie”, “Gerusalemme Est”) è quella dei nemici di Israele. Il presupposto principale (“la continua espansione delle colonie”) è un tema propagandistico palestinese, ma è semplicemente falso. Non vi è alcuna “continua espansione”, da molti anni non avvengono nuovi insediamenti ebraici in Giudea e Samaria; la crescita della loro popolazione è inferiore a quella palestinese. Se vi è stata una “crescita continua” a Gerusalemme nell’ultimo decennio, per esempio, è quello della popolazione araba cresciuta proporzionalmente per ragioni di immigrazione, oltre che di fertilità.
Non voglio discutere qui il contenuto delle proposte di J-Street e J-Call, che è palesemente privo di dettaglio, al di là della resa ad Obama. Resta il fatto che nel merito nella terminologia si sposa la narrazione dei nemici che circondano Israele. E il punto di vista è quello di un estraneo che vuole affermare il proprio punto di vista attraverso “pressioni” esterne. Dice per esempio il punto 2: “E’ essenziale che l’Unione europea a fianco degli Stati Uniti eserciti una pressione forte sulle parti in lotta e le aiuti a giungere a una composizione ragionevole e rapida del conflitto.” E il punto 3: “Se la decisione ultima appartiene al popolo di Israele, la solidarietà degli ebrei della Diaspora impone di adoperarsi perché questa decisione sia quella giusta. Allinearsi in modo acritico alla politica del governo israeliano è pericoloso perché va contro i veri interessi dello Stato d’Israele.”
Difficile non pensare che si trova qui una singolare percezione della democrazia. E anche dell’amore. Standomene seduto comodamente a Parigi, io ti dico che sono solidale con te perché chiedo ad altri di farti contro una “forte pressione”. Non mi sogno di “allinearmi in maniera acritica” con te, perché so io qual è il tuo “vero interesse” e tu evidentemente sei obnubilato. Come gli italiani sono una nazione di commissari tecnici del calcio, così gli “intellettuali ebrei” sono tutti primi ministri.
Data la mala accoglienza che han subito nel mondo ebraico, da parte dei firmatari o simpatizzanti di J-call si è sollevato polemicamente il problema se “sia permesso” dissentire, accusando implicitamente di intolleranza chi è solidale con Israele (quella vera, col suo popolo e le sue istituzioni democratiche, non quella ideale nella testa degli ebrei europei o americani). Ancora un gesto di disprezzo verso la maggioranza. Ma certo che si può dissentire, figuriamoci, in Europa, in America e in Israele. Sono tutte democrazie. Inoltre in Israele c’è Haaretz e il sistema universitario, in Europa il sistema politico la pensa come voi e in America c’è Obama. Un sacco di alleati potenti e vociferanti. Il problema è semmai se si può dissentire dal vostro dissenso.
E se, per igiene semantica, vi si può chiedere di trovare un nome diverso dall'”amore” per definire l’atteggiamento di chi crede di sapere lui qual è “il vero interesse”, “non si allinea” alla volontà della maggioranza, chiede ai poteri mondiali di esercitare “forti pressioni”. Un paio d’anni fa un giornalista di Haaretz, credo, fece scandalo chiedendo a un funzionario americano che il suo paese esercitasse il suo “tough love” con un termine particolarmente franco, secondo le abitudini sabra. Disse che l’America doveva “stuprare” Israele per portarlo sulla giusta strada. Ecco, quello che J-call pratica nei confronti di Israele, più che una forma strana di amore, mi sembra un tentativo di stupro: una “forte pressione” per fargli fare quel che non vuole. La divisione, come la vedo io, corre fra chi ama Israele, “senza se e senza ma” e chi lo vuole stuprare. Nel suo interesse è chiaro.
Ugo Volli