Qui Casale – Grandi immagini del Novecento
Oltre cento acqueforti del pittore Marc Chagall costituiscono La Bibbia del pittore di Vitbesk, un’esposizione curata dalla gallerista Silvia Guastalla per il festival OyOyOy attualmente in corso a Casale Monferrato. Si tratta di un’imponente serie di illustrazioni commissionate a Chagall dal mercante d’arte parigino Ambroise Vollard, realizzate nel corso degli anni trenta dopo il viaggio del pittore in Palestina, nei luoghi biblici. Le scene illustrate sono fedeli al testo del Tanach, ma arricchite da reminiscenze folkloristiche della vita religiosa degli ebrei dell’Europa orientale. Il percorso parte dalla Genesi, dalla creazione del mondo, per arrivare, attraverso lo sviluppo della narrazione biblica, ad episodi biblici che riflettono le vicende contemporanee del popolo ebraico in Europa: siamo alla fine degli anni trenta e Chagall, sconvolto dall’orrore nazista, rappresenta in toni più cupi le sofferenze del popolo ebraico, dalla schiavitù egiziana alle Lamentazioni del profeta Geremia. A Aldo Mondino, artista torinese morto nel 2005 è dedicata un’altra esposizione del festival. Si tratta di un pittore legato a queste terre: vi trovò la sua seconda casa, e proprio qui, nel Monferrato, ebbe luogo il suo avvicinamento all’ebraismo. Il pezzo forte dell’esposizione è L’orologio di Aldo, un paradossale meccanismo antiorario il cui quadrante è una stella di Davide: si tratta di una serigrafia su plexiglass dal significato filosofico irriverente, destabilizzante. Mondino è stato un grande viaggiatore, “vicino – nel ritratto che ne fa Elio Carmi nella discussione con Volli – all’immagine dell’ebreo errante”, dell’ebreo sempre in cerca della terra promessa: la continua indagine, infinita aspirazione conoscitiva, irrequietezza esistenziale. “Il tema del viaggio, o meglio, del vagabondaggio, è una categoria importantissima per la comprensione della cultura ebraica”, spiega il semiologo Ugo Volli durante una conferenza tenuta all’interno della sinagoga con il vicepresidente della Comunità di Casale Monferrato Elio Carmi e con il direttore del Museo Luzzati di Genova Sergio Noberini (nell’immagine in alto insieme alla vicepresidente Ucei Claudia De Benedetti), probabilmente il momento più apprezzato della giornata da parte dei visitatori giunti a Casale. “Dal comandamento di Dio ad Abramo, lekh lekhà, vattene, vai via dalla casa paterna – spiega Volli – ai quarant’anni di peregrinazioni nel deserto dopo l’Esodo dall’Egitto, che sono il momento di formazione del popolo, fino ai numerosi esili, costante della storia ebraica”. È un motivo molto ricorrente, anche nell’arte ebraica più recente, spiega Volli. “Il popolo d’Israele ha una connaturata vocazione per la deterritorializzazione, per l’abbattimento dei confini”. Il tema centrale della discussione è il divieto, enunciato dal primo dei Dieci comandamenti, di farsi immagini. “Se nella civiltà occidentale c’è il primato dell’immagine, in quella ebraica prevale la scrittura, la narrazione”. Il precetto biblico, argomenta Volli, “non è altro che la consapevolezza del potere seduttivo delle immagini”, raggiunta dagli ebrei ben prima dell’invenzione della televisione. “Il Dio degli ebrei – continua Volli – non si vede, come le statuette pagane che Abramo distrugge nella bottega paterna; si ascolta”. “Il divino rimane qualcosa di puro e astratto, non oggettivabile: è questa la misura adottata tremila anni fa contro l’idolatria, contro la personificazione delle forze naturali”. Lele Luzzati – si chiede Carmi – che fa un uso così forte della figura, che posto può avere nella cultura ebraica? “È il tipico artista ebreo novecentesco”, spiega Volli, saltabeccando fra linguistica, teologia e storia dell’arte: “Il suo gesto artistico non è una creazione né una riproduzione – sostiene – si tratta di una creatività più moderna, fatta di manipolazione e combinazione piuttosto che di creazione ex nihilo”. Inoltre, continua il semiologo, “l’immagine di Luzzati è decostruita: non riporta fedelmente, come l’arte, per esempio, di Tiziano; bensì offre suggestioni e si presta ad interpretazioni”. “Quest’approccio all’immagine – sostiene il professore – è una caratteristica tipicamente moderna e tipicamente ebraica: Hitler diceva che tutta l’arte del novecento era corrotta perché molto legata ad influenze di matrice giudaica. In un certo senso ci aveva visto giusto”.
Manuel Disegni