Appelli e controappelli

L’“Appello alla ragione”, promosso dal gruppo “JCall”, a cui ha aderito un considerevole numero di intellettuali ebrei francesi (fra cui Bernard Henry-Levy e Alain Finkelkraut), con l’invito al governo israeliano a impegnarsi in un’inversione di tendenza nelle contestata politica delle costruzioni – oggetto di severa critica da parte di un successivo “controappello” a sostegno del governo di Gerusalemme (“Con Israele, con la ragione”, promosso da Fiamma Nirenstein), a sua volta bersaglio di critiche, poi controcriticate ecc. ecc., in un’inarrestabile spirale polemica – appare, al di là delle specifiche argomentazioni e parole adoperate, tutte legittime e tutte opinabili, decisamente sbagliato, per tre distinte ragioni:
1) Il diritto di critica è non solo sacrosanto, ma anche salutare. Esso è esercitato costantemente, nei confronti delle scelte politiche di Israele, dagli stessi cittadini israeliani, e da chiunque abbia a cuore le sorti di quel Paese, e non si deve mai confondere la legittima critica con l’odio o la delegittimazione. Un ‘appello’, però, è qualcosa di diverso da, per esempio, un articolo di giornale, un discorso, un comizio, in quanto, per definizione, pretende non solo di descrivere la realtà, ma anche di incidere sulla stessa, invitando qualcuno a fare qualcosa. In presenza di un conflitto, un appello, per apparire ragionevole ed equilibrato, dovrebbe quindi rivolgersi a tutte le parti contrapposte, e non solo ad una di esse, a meno che non sia evidente che i torti siano solo ed esclusivamente da un lato. C’è qualcuno, dotato di un minimo di coscienza, che possa sostenere che nel conflitto medio-orientale i torti siano tutti e solo di Israele? E l’argomento secondo cui ognuno dovrebbe fare pressioni presso i propri amici, ebrei con ebrei e arabi con arabi, non regge, per l’assoluta mancanza di par condicio: chi ha mai visto un appello arabo o islamico, a favore del dialogo e contro la violenza, rivolto a Hamas, Hezbollah, Iran ecc.?
2) Uno dei problemi più pesanti che fanno ostacolo a qualsiasi spiraglio di soluzione è, da sempre, l’atteggiamento assolutamente vittimistico, revanscista e vendicativo radicato nel mondo islamico, per cui ogni idea di pace passa unicamente attraverso l’espiazione di colpe, vere o presunte, di Israele e dell’Occidente, senza mai un briciolo di autocritica riguardo alle politiche violente e aggressive praticate dai vicini di Israele. È evidente come un appello “di ebrei” teso a fare cambiare la politica israeliana non possa che ulteriormente rafforzare la – già solidissima, peraltro – convinzione che gli arabi debbano soltanto attendere riparazioni, scuse, pagamenti e quant’altro, senza, da parte, loro, impegnarsi neanche in un minimo gesto di buona volontà. E ciò, piaccia o non piaccia, non potrà che allontanare ulteriormente qualsiasi prospettiva di pace.
3) L’appello si rivolge essenzialmente a un pubblico europeo, proprio in un momento in cui l’Europa sembra nuovamente quantomeno fredda verso le ragioni di Israele, si va profilando un pericoloso isolamento diplomatico internazionale di Gerusaleme e aumentano, in modo allarmante, in tutto il Continente, i segnali di intolleranza e antisemitismo (si veda l’ingresso nel Parlamento europeo di partiti politici dichiaratamente xenofobi e neonazisti, o l’impressionante diffusione dei siti antiebraici su internet). In tale contesto, una pubblica sconfessione del governo di Israele, presentata come “critica degli ebrei europei allo Stato ebraico”, non potrà che rafforzare tutti gli argomenti dei nemici e ‘antipatizzanti’ di Israele, che vedranno in essa una sorta di “prova del nove” delle colpe dello Stato ebraico, criticato ‘perfino’ dagli ebrei. Eloquente prova di tale atteggiamento, per esempio, un inquietante articolo di Sandro Viola su Repubblica del 5 maggio, in cui si attende la risposta di Israele all’appello come la dimostrazione netta e incontestabile della disponibilità o meno dello Stato ebraico ad accettare un percorso di pace, e si esprime il sinistro timore che un mancato accoglimento delle ragioni degli appellanti possa “servire da alibi ad una torva, odiosa – ma vasta, molto vasta – riapparizione dell’antisemitismo”.

Francesco Lucrezi, storico